Riapre la scuola, fucina di disoccupati

La "catastrofe generazionale" evocata da Antonio Guterres, segretario generale dell'Onu, per la prolungata lontananza degli studenti dai banchi non è un'ipotesi

Riapre la scuola, fucina di disoccupati

La «catastrofe generazionale» evocata da Antonio Guterres, segretario generale dell'Onu, per la prolungata lontananza degli studenti dai banchi non è un'ipotesi. Durante gli anni della scuola una generazione costruisce la capacità di sostenersi per tutta la vita. A molti potrà apparire una scontata banalità, eppure nel Bel Paese questa verità fatica a circolare, più del Covid.

La società, poco meritocratica e molto assistenziale, ritiene che il titolo di studio sia di gran lunga più necessario del sapere, che il lavoro dipenda dalle raccomandazioni o dall'attività del genitore e che, in ultima analisi, si tratti di un diritto da esigere verso lo Stato. Convinzioni nate in clima di autarchia che hanno retto fino al secolo scorso, ma poi sono naufragate con la globalizzazione.

In questo secolo, il tasso di occupazione, ossia la capacità di una società di fare produrre ai cittadini la ricchezza necessaria al tenore di vita che desiderano avere, è direttamente collegato alla qualità del sistema scolastico. Natixis, una banca francese, ha messo su un diagramma due grandezze per i principali Paesi sviluppati. Su un asse la percentuale di giovani disoccupati, i neet (né occupati, né in formazione/training). Sull'altro il punteggio Pisa, Programme for international student assessment, un'indagine Ocse che valuta il livello di istruzione degli adolescenti dei principali Paesi industrializzati. La distribuzione dei Paesi sul diagramma indica che a un più elevato livello di istruzione corrisponde una minore percentuale di giovani nullafacenti. In altre parole, la disoccupazione giovanile non sarebbe una fatalità, come tanti lamentosi vorrebbero sostenere, bensì il frutto di scelte precise.

Prendiamo l'Italia, al penultimo posto per istruzione e col più alto grado di giovani neet. Avere considerato per decenni la scuola il posto dove lavorano insegnanti e amministrativi, anziché quello dove si formano le future generazioni, è la filosofia alla base di questo che è già un disastro generazionale. Da tale ispirazione ideologica è stato facile derivare le politiche scellerate che abbiamo osservato nei decenni. Lo studente va seguito e messo in condizione di apprendere solo se e dopo che tutte le altre esigenze dei lavoratori siano state soddisfatte. I tanti insegnanti bravi e appassionati possono svolgere bene la loro missione, ma trattati e retribuiti allo stesso modo dei tanti impreparati e menefreghisti, poiché entrambi avrebbero maturato il diritto a educare le nuove generazioni, che dovrebbe invece essere un privilegio riservato solo ai migliori. Anche i desideri delle famiglie vanno anteposti alla formazione dei loro figli, a cui ramanzine e bocciature vanno risparmiate, poiché sgradite e incompatibili con le aspettative.

Queste sono scelte. I fatti dicono, beninteso solo per chi li voglia scrivere e per chi li volesse leggere, che non si può avere «tutti promossi» e dieci anni dopo «tutti occupati».

Lasciare decidere ai sindacati se aprire o meno a settembre si può, ma occorre dire che il prezzo di questa scelta è un aumento della disoccupazione. Non subito, ma in 10/15 anni. Mettere al centro gli studenti significa accomodarli tutti nei banchi a settembre, visto che avranno passato l'estate in discoteca. Poi fare l'appello dei professori: chi c'è, c'è.

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