Riaprire a macchie per tornare liberi

Solo da vaccinati saremo liberi. Partiamo da una constatazione semplice e neutrale, senza farne subito materia di inutile scontro ideologico: un piano vaccini completo, nazionale e definitivo non c'è

Riaprire a macchie per tornare liberi

Solo da vaccinati saremo liberi. Partiamo da una constatazione semplice e neutrale, senza farne subito materia di inutile scontro ideologico: un piano vaccini completo, nazionale e definitivo non c'è, altrimenti basterebbe collegarsi ad un sito e scoprire quando e dove ognuno di noi è chiamato a vaccinarsi. Non per categorie, o per età, ma tutti. Per fortuna, i vaccini arrivano prima di un piano di distribuzione ordinato, se succedesse il contrario, sarebbe un vero guaio. E non ci raccontino balle.

Allo stesso modo, all'inizio non esisteva un piano mascherine, un piano tamponi o un piano trasporti nelle grandi città. Il virus ci ha colti di sorpresa e questi modi del tutto nuovi di organizzare la vita civile in una società dominata dalla pandemia vanno pensati e sperimentati, senza la pretesa di avere in tasca soluzioni già pronte, che miracolisticamente arrivino dalla politica. Però, le mascherine sono qui, anche se disordinatamente (abbiamo perfino imparato a fabbricarle) e oggi è possibile fare un tampone in mille modi, per chi ne abbia bisogno.

Il piano di distribuzione dei vaccini, invece, è reso molto piu complicato dalle enunciazioni di principio o propagandistiche. Intanto ci sono il ministero della Salute e il commissario Arcuri che rivendicano orgogliosamente l'alto numero di vaccinati italiani, superiore ad altri Paesi europei. Vero, ma in realtà si tratta di un numero esiguo rispetto alla necessità di vaccinare nel più breve tempo possibile oltre il 70 per cento degli italiani. È quasi inutile ricordare che tocca per primi agli operatori sanitari, dopo ai ricoverati nelle Rsa e chiudere il discorso enunciando che tutti hanno il diritto (non il dovere) ad un vaccino. Oggi funziona, perché ne abbiamo in pratica soltanto uno, il Pfizer, il più difficile da conservare a temperature molto basse, che viene gestito in modo centralizzato. Ma domani, quando ci saranno i vaccini per una profilassi di massa, come e da chi saremo gestiti? E con quali criteri: correre da tutti fino ad esaurire le scorte, o conservare una percentuale per le seconde dosi, che non possono ritardare i 21 o 28 giorni a seconda del prodotto?

Per capire meglio, è necessario spostare il centro dell'attenzione dai vaccini alla società: con la Cina impegnata nella «diplomazia del vaccino», alla conquista del mondo, sfruttando una loro temporanea superiorità, noi dobbiamo affrontare seriamente la democrazia dei vaccini e la difesa dell'economia liberale anche nelle cure. La distribuzione dei vaccini, per essere capillare e velocissima, deve essere liberalizzata. È un concetto semplicissimo: l'approvvigionamento deve essere centralizzato e coordinato in sede europea, i vaccinatori devono essere moltissimi e diffusi. Ed anche il sistema economico deve essere misto, tutti hanno diritto ad un vaccino, ma chi può acquistarlo deve poterlo fare, senza aspettare i tempi di un sistema statalista lunghissimo.

È andata proprio in questo modo anche con i tamponi, che all'inizio sembravano difficilissimi da fare. Oggi sono disponibili, anche su prenotazione, nei tendoni davanti alle farmacie. I farmacisti sarebbero in gran parte d'accordo e si sono molto lamentati quando erano sprovvisti anche della semplice terapia anti influenzale, naturalmente molto più richiesta rispetto al passato. Devono poter vaccinare, naturalmente sotto controllo, medici di base, ambulatori, strutture sanitarie militari e perfino i veterinari, per tradizione grandi vaccinatori. Deve partire, appena esaurite le categorie protette, una grande campagna di vaccinazione di massa, estesa anche i luoghi di lavoro. Molte aziende lo hanno già fatto con i tamponi e i vaccini antinfluenzali e sono pronte a farlo, con medici dedicati. Lo Stato e le Regioni si dovrebbero occupare solo del controllo (e non è poco), dell'acquisto dei contingenti e della raccolta di una parte dei fondi erogati dai privati che possono farlo.

Il fine ultimo è vaccinare più persone prima possibile, ma anche reinserire presto il maggior numero di persone nelle attività di servizio al pubblico e produttive. Naturalmente, tutti quelli che hanno un contatto diretto con il pubblico dovrebbero avere una loro priorità, ad esempio insegnanti, ferrovieri, tranvieri, uffici pubblici, ma anche badanti, collaboratrici domestiche ed altri che si occupano di persone. Nelle aziende, i vaccinati potrebbero tornare a lavorare in presenza, mentre lo smart working sarebbe riservato a chi ha problemi di vaccinazione e, con l'istituzione di un tesserino apposito (anche l'orologio di De Luca, una volta al giorno, legge l'ora giusta), si potrebbero riaprire ristoranti e cinema per vaccinati e tornare alle manifestazioni pubbliche, anche sportive.

È l'Italia che riapre a macchie, con la velocità del vaccino, l'esatto opposto dell'Italia che chiude a colori.

Ed è un punto molto importante, che ci aiuta ad uscire in fretta dalla mentalità del cittadino assistito a vita, dall'umiliazione delle file di controllo che, temo, stiano diventando un fine più che un mezzo per alcune forze politiche a vocazione statalista. A chi sostiene: ti controllo, perciò conto e comando, vorrei rispondere: mi vaccino, ergo sum.

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