Espulsi, restarono in Italia con il "placet" dei giudici: interviene la Cassazione

Nove irregolari erano finiti a processo per non aver lasciato il suolo nazionale dopo l'ordine di espulsione del procuratore generale. Il giudice di pace li assolse, ma adesso interviene la Suprema Corte: "La motivazione caratterizzata da assoluta astrattezza"

Espulsi, restarono in Italia con il "placet" dei giudici: interviene la Cassazione

Avevano ignorato l'ordine di espulsione emesso dal questore ed erano andati a processo. Ma in quella sede erano tutti stati assolti. Ma oggi, a distanza di circa un anno, tutto deve essere riesaminato perché nei giorni scorsi, i giudici della Cassazione hanno annullato proprio quelle nove sentenze di assoluzione, con la formula "perché il fatto non sussiste", emesse un anno fa dal giudice di pace di Milano, nei confronti di nove immigrati sprovvisti di permesso di soggiorno e finiti a processo per aver disatteso l'ordine ricevuto. Cioè andarsene dal suolo nazionale.

La decisione della Suprema Corte

Secondo quanto riportato da Il Giorno, infatti, la Suprema Corte ha ribadito una linea giurisprudenziale già tracciata con precedenti pronunce, secondo le quali dovrebbero sussistere seri e provati impedimenti alla base del mancato rientro nel Paese d'origine, una volta emesso il decreto di espulsione. In base a quanto ricostruito dal quotidiano, infatti, come previsto dal Testo unico sull'immigrazione, le espulsioni dal territorio nazionale possono essere giudiziarie o amministrative e avvengono in due modalità.

Le modalità di espulsione

Il primo modo in cui si articola l'ordine di allontanamento dal suolo nazionale è tramite accompagnamento alla frontiera da parte delle forze dell'ordine: è disposto dal questore ed è convalidato dall'autorità giudiziaria entro le 48 ore. L'altro, invece, è possibile solo in caso di provvedimenti amministrativi: trattamento in un Cpr o, in alternativa, ordine di epulsione entro una settimana, con conseguenze penali in caso di inottemperanza e una multa variabile da 15mila e 30mila euro. E proprio in quest'ultimo caso, rientrerebbero tutti i nove procedimenti penali trattati dalla Cassazione.

I casi trattati dalla Cassazione

In base a quanto riportato dal quotidiano, tra l'11 gennaio e il 1° marzo del 2019, il giudice di pace aveva assolto nove irregolari che avevano appunto ignorato l'ordine del questore, rimanendo in Italia oltre il limite consentito dei sette giorni. "La mancanza di documenti e la situazione di emarginazione sociale dell'imputato fanno residuare il ragionevole dubbio che la mancata ottemperanza all'ordine possa essere dipesa da cause di forza maggiore", si leggeva.

Il ricorso del procuratore

Ma, in quella circostanza, il procuratore generale presso la Corte d'Appello aveva fatto ricorso contro tutti i verdetti, contestando che "nel processo l'imputato non ha indicato alcuna ragione alla base del suo inadempimento agli ordini di lasciare il territorio dello Stato nei sette giorni successivi alla notificazione di ciascun decreto dispositivo di tale ordine". Inoltre, come ricostruito anche dal quotidiano, le motivazioni elencate dal giudice di pace, ovvero la mancanza di documenti, l'emarginazione sociale e la conoscenza "virtuale" del processo, sarebbero "adattabili a qualsiasi caso e del tutto prive di un seppur minimo riferimento allo specifico oggetto del procedimento".

La conferma della Cassazione

La tesi esposta nel ricorso del procuratore generale è stata condivisa anche dai giudici di Cassazione, che scrivono: "La motivazione fondante la decisione assolutoria è caratterizzata da assoluta astrattezza e come tale è meramente

apparente in quanto avulsa dalle risultanze processuali e genericamente riferibile a un numero indeterminato di comportamenti umani costituenti l'inadempimento sanzionato dalla norma incriminatrice in discussione".

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