Furono rastrellati il 16 ottobre 1943. Di quanti si salvarono, molti furono venduti nei giorni successivi. Una tragedia che la Comunità ebraica di Roma ricorda bene e che ha portato a una lunga indagine per stilare l'elenco di quanti ebbero un ruolo in quella "caccia".
Un bambino valeva 1.500 lire, una donna 3.000. Per un uomo si potevano ottenere 5.000 lire. Tutto in cambio del nome di un esponente della comunità ebraica, da consegnare ai nazisti perché fosse inviato ai campi di concentramento.
A Roma è stata ricostruita la lista nera di quanti contribuirono a vendere gli ebrei. Un elenco costato una lunga indagine e che la comunità della Capitale assicura non verrà mai reso noto. Furono 747 le persone denunciate dopo il primo rastrellamento, che andarono a sommarsi alle 1.022 catturate il 16 ottobre. Quasi 1.800 persone in totale, su 8.000 vittime italiane.
Particolarmente esposti erano gli adulti maschi, costretti a lasciare i loro rifugi per trovare di che fare sopravvivere le loro famiglie. Tra i delatori c'erano vicini di casa, colleghi di lavoro.
L'85% degli ebrei romani riuscì, nonostante tutto, a salvarsi. Secondo Claudio Procaccia, uno degli autori dello studio della Comunità ebraica, il merito fu in molti casi dei privati che li nascosero. "Per la maggior parte non c'era scambio di denaro. Negli istituti religiosi, invece, uno su due pagava un affitto".
Qualcuno arrivò a
battezzarsi per salvarsi. Circa una persona su dieci. Altri fecero perdere le loro tracce scappando o cambiando cognome. Non sempre fu sufficiente. Tra qualche mese lo studio realizzato a Roma finirà in un libro. I nomi, quelli no.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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