La scommessa "alla cieca", poi lo schianto che portò a 70 morti

Per una scommessa nel 1986 un pilota di un volo di linea sovietico fece schiantare un aereo, causando 70 vittime

Un Tu-134A simile a quello dello schianto
Un Tu-134A simile a quello dello schianto

La storia che stiamo per raccontarvi oggi è molto particolare sotto quasi tutti gli aspetti. È una storia che ci arriva direttamente dalla Guerra Fredda, che però con la contrapposizione in blocchi non c'entra nulla, se non limitatamente al velo di segretezza calato su di essa per via del forte controllo che l'Unione Sovietica aveva sull'informazione al tempo. È una storia che, nella sua tragicità, è molto “russa”: traspare tutto il carattere fatalista e spregiudicato di un popolo, che spesso sfora nel totale sprezzo del pericolo.

Chi scrive ricorda un aneddoto, letto ormai decenni fa, di un pilota statunitense che, durante il secondo conflitto mondiale, si era ritrovato in Unione Sovietica dopo aver effettuato una consegna di rifornimenti per il programma lend and lease di sostegno agli sforzi bellici di Mosca: questi si era messo al posto del secondo ufficiale a bordo di un DC-3 (o forse era un Lisunov Li-2, copia locale del celeberrimo aereo da trasporto della Douglas, ma non è importante ai fini della nostra narrazione) con ai comandi un pilota russo, che, dopo una brevissima corsa di decollo da una pista innevata, ritrasse il carrello prima ancora che il velivolo avesse staccato le ruote dalla pista, provocando sconcerto e perfino terrore nel suo collega. Per un puro caso, ma forse più per le straordinarie caratteristiche del DC-3/Li-2, l'aereo non si scassò e prese il volo, tra la noncuranza del russo che, molto fatalisticamente e ironicamente, si rivolse all'americano chiedendogli se per caso avesse paura di morire.

Quella scommessa "alla cieca"

La nostra storia, invece, comincia nell'ottobre del 1986. Sono passati solo 6 mesi dal disastro della centrale nucleare di Chernobyl, e il regime sovietico, nonostante la Glasnost appena inaugurata dal segretario generale del Pcus Mikhail Gorbachev, imponeva uno stretto controllo dell'informazione. Il volo Aeroflot 6502, in servizio di linea da Sverdlovsk (ora Ekaterinburg) a Kuybyshev (ora Samara) e Grozny decolla alle 14.33, ora di Mosca, con ai comandi il capitano Alexander Kliuyev, nel freddo clima di quella giornata del 20 ottobre.

Il velivolo è un Tupolev Tu-134A, un bireattore sviluppato dal noto bureau di progettazione sovietico negli anni sessanta, che ricorda nelle linee il ben noto DC-9: motori in coda, ala a freccia e timone verticale “a T”. A bordo ci sono 87 passeggeri e 7 membri dell'equipaggio.

La prima parte del volo è senza storia: le condizioni meteo sono ottimali e tutto fila liscio. Mentre il Tupolev si avvicina al suo primo scalo sulla via di Grozny, al comandante viene in mente di fare una scommessa col primo ufficiale. Non sappiamo se ci sia stata una discussione animata nella cabina di pilotaggio oppure no, ma Kliuyev insiste sul fatto che sarebbe perfettamente in grado di far atterrare il Tu-134A senza alcun contatto visivo con il suolo e senza l'ausilio della torre di controllo.

Due minuti prima dell'atterraggio a Kuybyshev, alle 15.48, a un'altitudine di 1300 piedi (circa 400 metri) il comandante ordina all'ingegnere di volo di tirare le tende sul parabrezza della cabina di pilotaggio, vantandosi che non avrebbe avuto problemi ad atterrare usando solo gli strumenti. Una scommessa che si rivelerà fatale.

Chi ha contezza del mondo militare sa che è difficile contestare un ordine di un superiore, e questo vale ancora di più se pensiamo al mondo sovietico, dove era molto facile venire accusati di insubordinazione, e dove la struttura stessa di quel sistema era organizzata in modo estremamente gerarchico e piramidale: la decisione dell'autorità, pertanto, era insindacabile. Una decisione stupida e mortale, in questo caso.

Possiamo solo immaginare quello che è successo in cabina in quei minuti, in quanto nessuno ha potuto ascoltare le registrazioni di volo dopo l'incidente. Quello che sappiamo, però, è che il comandante ha ignorato più volte gli allarmi di prossimità, convinto della sua abilità di pilota.

Il controllore del traffico aereo, molto probabilmente vedendo la perdita di quota del velivolo, suggerisce a Kliuyev via radio di utilizzare un approccio Ndb (Non-Directional Beacon), un radiofaro non di precisione che non fornisce alcuna guida in senso verticale.

Un ulteriore avviso di prossimità viene emesso dal sistema automatico a un'altitudine di circa 200 piedi (60 metri) e il controllore del traffico aereo suggerisce al pilota di abortire la discesa e riattaccare. Kliuyev però non lo ascolta, e sempre coi finestrini oscurati e affidandosi unicamente agli strumenti, continua il suo fatale approccio verso la pista di Kuybyshev. Il Tu-134A è instabile e atterra troppo velocemente. L'aereo si capovolge dopo aver oltrepassato il termine della pista ed esplode in fiamme.

Troppa fiducia, troppa segretezza

A causa dell'eccessiva fiducia nelle proprie doti di pilota e del rifiuto di ascoltare le comunicazioni della torre di controllo, il capitano Kliuyev provoca la morte istantanea di 63 persone, mentre altre 7 periranno successivamente in ospedale per le gravi ferite riportate. Tra i morti anche il secondo pilota, Gennady Zhirnov, che sopravvive all'impatto ma viene colpito da infarto mentre va in ospedale dopo aver fatto del suo meglio per salvare i passeggeri superstiti.

Kliuyev, in un clima da Guerra Fredda fatto di segretezza e controllo delle informazioni, viene arrestato, processato e condannato a 15 anni di carcere, ma viene rilasciato dopo soli 6: l'Unione Sovietica era sparita, e con essa la volontà di tenere nascosto un incidente mortale in cui sotto accusa non c'era solo un pilota e il suo atteggiamento spavaldo, ma un intero sistema.

Le immagini del disastro, scattate dai soccorritori, sono state tenute segrete dal Kgb per anni. Le cronache dell'epoca riportano che Kliuyev è apparso sempre calmo e composto durante il processo, forse perché conscio di aver tutta la responsabilità del tragico incidente o forse perché, molto fatalisticamente, aveva accettato il suo destino.

La catena di eventi che ha portato allo schianto fatale avrebbe

potuto essere interrotta in qualsiasi momento, ma nessuno in cabina di pilotaggio ha osato parlare e prendere in mano la situazione, portando alla tragica morte di tante vite innocenti: una storia molto “russa”, come dicevamo.

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