Il messaggio più interessante è arrivato ieri dall'Arabia Saudita. Indiretto e un po' obliquo, come si addice alla cultura della regione, ma ugualmente significativo: un post sul sito della famiglia reale in cui si citava l'intervista di un funzionario saudita (rimasto anonimo) alla televisione pubblica israeliana. Il funzionario, diceva il testo ripreso sul sito reale, «riconosce implicitamente il coinvolgimento dell'Arabia nell'abbattimento dei droni iraniani diretti in Israele, dicendo che nello spazio aereo del Paese viene intercettata ogni entità sospetta». Nell'articolo si aggiunge anche che l'intervistato definisce l'Iran «un Paese che sostiene il terrorismo», accusandolo «di avere istigato il conflitto a Gaza», con «l'obiettivo deliberato di ostacolare la normalizzazione dei rapporti con Israele».
Prima dell'Arabia a uscire allo scoperto era stata la Giordania, che aveva ammesso di aver bloccato alcuni dei proiettili lanciati dagli iraniani, mentre ieri a intervenire sulla questione è stato anche il Wall Street Journal, secondo cui, oltre a quelli già citati, anche altri Paesi del Golfo, tra cui gli Emirati Arabi Uniti, avrebbero contribuito alla difesa di Israele dall'attacco iraniano.
La memoria degli analisti è tornata così a un progetto di cui aveva parlato per la prima volta in pubblico l'allora presidente Donald Trump: la «Middle East Strategic Alliance», alleanza strategica del Medio Oriente, che era stata subito ribattezzata «Nato araba».
Parallelamente alle trattative per gli accordi di Abramo (l'intesa tra Israele e alcuni Paesi arabi a cui, prima del conflitto a Gaza, si preparava ad aderire anche l'Arabia) il progetto di un'alleanza difensiva deve aver fatto evidentemente qualche progresso, sia pure circondato dal più rigoroso silenzio. Nel giugno del 2022 ne aveva parlato anche Benny Gantz, ex capo di Stato Maggiore israeliano, attualmente nel gabinetto di guerra voluto da Bibi Netanyahu, senza però aggiungere altri particolari. Non è però un caso che Gantz abbia ripreso il tema in queste ore: «Il mondo è contro l'Iran. Questo ci dicono gli ultimi giorni. E questo è il risultato strategico su cui dovremo far leva per la sicurezza di Israele. Costruiremo una coalizione regionale per affrontare la minaccia iraniana, che per questo pagherà un prezzo».
Mezze parole, e per di più con i verbi coniugati al futuro. Ma tra le ammissioni dell'una e dell'altra parte sembra legittimo concludere che il risultato del raid iraniano dei giorni scorsi è stato paradossale: fare da catalizzatore di un significativo avvicinamento nel settore della difesa, quasi un'alleanza formale, tra i maggiori stati arabi della regione e Israele.
L'intesa resta indicibile, nessuno dei Paesi coinvolti (almeno da parte araba) può permettersi di fare pubblicità a un accordo con chi uccide i «fratelli» palestinesi. Ma non c'è dubbio che i vertici dei Paesi sunniti considerino gli sciiti iraniani il nemico più pericoloso e che stiano cercando il modo di difendersi. Anche a costo di lavorare insieme al «nemico sionista». C'è chi, come l'Arabia, ha ben presenti i droni prodotti a Teheran e usati per bombardare i suoi pozzi petroliferi. E chi come il Marocco, dove fare i conti con un movimento ribelle, il Fronte Polisario, finanziato dagli iraniani.
La diffidenza nei confronti degli estremisti sciiti è tra l'altro condivisa da buona parte delle opinioni pubbliche sunnite. Ieri nell'internet egiziana si sono guadagnati grande spazio meme che irridevano la prova militare fornita dalle armi dei pasdaran: in una vignetta un ayatollah viaggiava a cavallo di un enorme cetriolo trasformato in un poco temibile missile.
Se si passa dai commentatori social alle élite il risultato non cambia: il denominatore comune tra i Paesi della Regione è stato fino ad ora il disperato tentativo di non essere coinvolti nel conflitto di Gaza. L'attacco iraniano non cambia le carte in tavola e anzi non fa che consolidare questo atteggiamento.
Mentre si discute dei timori di una possibile escalation, dalle cancellerie dell'intero mondo arabo, praticamente senza eccezioni, viene invece l'appello a una vera e propria «de-escalation». La stessa de-escalation a cui ieri i mercati hanno mostrato di credere. Per le Borse internazionali ieri è stata tutto sommato una giornata come le altre.
Persino il prezzo dell'oro, infallibile termometro dei timori dei risparmiatori, non ha mostrato oscillazioni degne di rilievo. Nemmeno i mercati, si sa, sono infallibili. Ma mai come in questo caso si spera che abbiano ragione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.