Se i giustizialisti adesso insabbiano

Alla fine anche il meccanismo più perfetto, oliato, letale, come il circuito mediatico-giudiziario che in Italia ha fatto fuori intere Repubbliche e nomi eccellenti, può andare in corto circuito

Se i giustizialisti adesso insabbiano

Alla fine anche il meccanismo più perfetto, oliato, letale, come il circuito mediatico-giudiziario che in Italia ha fatto fuori intere Repubbliche e nomi eccellenti, può andare in corto circuito, basta un granellino di sabbia che inceppa una rotella o un contatto che fa saltare un fusibile. È successo sui verbali secretati di quel personaggio «oscuro» che è l'avvocato Amara, che per quasi un anno sono andati in giro tra le Procure, i Palazzi che contano fino all'ermo Colle, le Redazioni del Belpaese mentre l'epidemia mieteva vittime. In questa zuppa di parole, una sorta di «gulash», visto che il soggetto principale è un'organizzazione para-massonica denominata «Ungheria», ci sono gli ingredienti di sempre: nomi eccellenti della politica, della magistratura, delle istituzioni. Solo che mancano quelli che metterebbero d'accordo l'intero mondo del giustizialismo nostrano, cioè i vari Berlusconi, Salvini o Renzi. Se ci fossero stati in quei verbali probabilmente avremmo avuto conferenze stampa di magistrati e le prime pagine dei giornali: il Cav si sarebbe beccato tre edizioni straordinarie sul cartaceo e sui siti, una a colazione, una a pranzo e una a cena come le pillole per la gastrite; mentre i due Matteo solo due, la mattina e la sera. E, invece, ci trovi, apposta o a ragione, nomi che imbarazzano l'intero pianeta del giustizialismo italiano: quello dell'ex premier Giuseppe Conte, descritto in quei fogli come un collezionista di consulenze (del resto un avvocato di affari in soldoni che fa?), che mentre il verbale faceva l'intero giro della penisola era ancora in carica; e un nome «sacro» della magistratura interventista, quel Sebastiano Ardita, che insieme con Piercamillo Davigo ha fondato la corrente più giacobina del sindacato togato. Imprevisto che manda in tilt il meccanismo mediatico-giudiziario e - al di là di ogni dichiarazione sdegnata, di solidarietà, versione di comodo o strumentale, insomma, al di là di ogni ipocrisia lo divide: al punto che un pezzo paradossalmente si riscopre garantista; un altro, invece, suo malgrado, finisce per vestire i panni del «Corvo», cioè di quel personaggio mitico che agisce nell'ombra con i dossier o i verbali.

Il nuovo «fenomeno» garantista è Travaglik, il direttore del Fatto, uno che su Berlusconi, Salvini o Renzi pubblicherebbe anche le barzellette spacciandole per fatti di cronaca, e che, invece, su Giuseppe Conte si comporta come quella vecchia pubblicità di gatto Silvestro che dà la caccia alla piccola Titti fino a quando non si posa su un barattolo dei pomodori De Rica ed esclama: «Su De Rica non si può!». Ecco, appunto, Travaglik, che ancora oggi come una prèfica piange la fine del Conte due, non poteva che seguire l'esempio di gatto Silvestro: «su Giuseppi non si può!». Probabilmente sul piano formale è stato giustamente prudente, mancavano i timbri su quei verbali, dice, ma al di là del fatto che la versione dell'avvocato Amara è tutta da verificare, quel verbale è risultato d.o.c.. Senza contare che il Robespierre de' noantri, che nell'occasione ha vestito i panni di Cesare Beccaria, in passato ha pubblicato sul suo giornale anche «i peti», tutti da verificare, di un qualsiasi pentito, e «non», di mafia. Tant'è che uno dei suoi pupilli, finito a dirigere il Domani, restando fedele all'insegnamento del maestro, ha pubblicato il verbo di Amara in prima pagina. Resta solo da decidere, ma non è compito dei garantisti, se nel «credo» giustizialista a questo punto l'eretico sia il discepolo o il maestro.

In questo ennesimo capitolo di quel filone della Storia che racconta la Caduta degli Dei, c'è poi il Corvo, cioè l'entità che ha messo in circolazione il verbale secretato. Sugli articoli di questi giorni nessuno ne fa nome. Al massimo lo si fa intendere, o mettendo i fatti uno dietro l'altro, lo si suggerisce al lettore: il Pm Storari, deluso dalla procura di Milano che non vuol procedere sulla base dei verbali della discordia, li consegna a quel mostro sacro che fino a ieri nella iconografia del giustizialismo nostrano sedeva alla destra della Dea Bendata, cioè Piercamillo Davigo, all'epoca membro del Csm. La Guardia di Finanza il corpo preferito dal pool di Milano durante Tangentopoli avrebbe scoperto che i plichi anonimi spediti nelle redazioni dei giornali, sarebbero stati imbucati proprio dalla segretaria del dott. Davigo al Csm, che per puro caso porta un nome che è tutto un programma, la dott.ssa Contrafatto («nomen omen» dicevano i latini). Resta da scoprire a questo punto solo se il «Corvo» è la dipendente o il capoufficio. Quest'ultimo, però, ricordandosi di essere un mezzo Dio ha fatto sapere ieri che «il segreto non è opponibile ai componenti il Csm». Solo che ora a posteriori, venuto allo scoperto il segreto di Pulcinella, che tutti sapevano ma nessuno scriveva, si arguisce perché mesi fa Davigo abbia rotto con il suo alleato di corrente, Sebastiano Ardita, il cui nome compariva in quei verbali. E in fondo non ci fa una bella figura neppure un altro Dioscuro dell'Olimpo giustizialista, quel Nino Di Matteo, che di quei verbali parla proprio con Ardita, suo nuovo alleato: con tutto il rispetto si comporta, più o meno, come l'inquirente che disserta di un'inchiesta con l'indagato.

Insomma, siamo al crollo di un mondo: faide tra magistrati, relazioni speciali tra toghe, giornalisti e, magari, politici. E visti i personaggi, l'«affaire Amara» rispetto ai racconti di Palamara è come paragonare il libro Cuore al Decamerone o ai Racconti di Canterbury. Tutte storie con un'unica morale: davanti alla Dea bendata non siamo tutti uguali. E spesso quelle «carte», che per i pm e i giornalisti giudiziari, a seconda dei nomi che contengono, sono le Sacre Scritture o dossier da denunciare, alla fine dalle nostre parti servono, soprattutto, per disfare la Storia, per cadenzare le stagioni politiche o sfrattare questo o quell'inquilino del Palazzo.

E forse non sarà un caso che la giornata del «contrappasso» del giustizialismo, cada esattamente 28 anni dopo quell'atto di violenza contro le garanzie e lo Stato di diritto che fu il lancio di monetine contro Craxi all'Hotel Raphael. Data di nascita di un populismo che in diverse forme è arrivato fino ad oggi, figlio diretto di quella perversione, di quell'offesa sia all'informazione, sia alla giustizia, che è il meccanismo mediatico-giudiziario.

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