Il caso Morosini ha un rilievo istituzionale né più e né meno del rilievo istituzionale che avevano gli innumerevoli casi di pronunciamenti politici di esponenti del Consiglio Superiore della Magistratura avvenuti nel corso degli ultimi trent'anni. La differenza tra il caso Morosini e quelli precedenti è solo che mentre le esternazioni di natura politica del passato si rivolgevano contro i governi e gli esponenti delle forze contrarie alla sinistra, quella del consigliere di Magistratura Democratica è stata indirizzata contro Matteo Renzi e la sua riforma costituzionale. E quella parte di sinistra che sostiene il premier, pur avendo difeso in passato tutte le sollevazioni avvenute nel Csm contro Berlusconi e il centrodestra, non accetta che identico trattamento possa essere rivolto all'attuale presidente del Consiglio. Oggi scopre strumentalmente un caso istituzionale dopo averne avallati sempre strumentalmente decine e decine nel passato.
Questa considerazione non deve spingere a chiedere di applicare la legge del contrappasso e a pretendere con malcelata soddisfazione che chi ha ferito con l'arma della giustizia politica venga ferito oggi con la stessa arma. Il caso Morosini solleva un problema che era istituzionale in passato e che è istituzionale anche oggi. Ma che se ha questa caratteristica non può essere risolto, come vorrebbe il ministro Orlando, con un semplice documento di autoregolamentazione interna del Csm diretto ad impedire che i componenti dell'organo di autogoverno della magistratura partecipino in prima persona alla campagna referendaria sulla riforma costituzionale sventolando la bandiera del «No». Se la questione è istituzionale, la soluzione deve essere non l'atto di autoregolamentazione ad personam per ridurre il danno che Renzi potrebbe subire dall'opposizione dichiarata di una parte della magistratura, ma deve essere necessariamente di natura istituzionale. Cioè niente circolare interna del Csm, ma una legge che fissi una volta per tutte i limiti entro cui i magistrati possano usufruire dell'art. 21 della Costituzione e da cui non debbano uscire invadendo il terreno della politica, pena sanzioni automatiche alle loro carriere.
È in grado il governo con la sua maggioranza di realizzare un provvedimento del genere? Cioè di definire una volta per tutte quando e come si configura una invasione di campo da parte della magistratura nei confronti della politica e quali sanzioni
una trasgressione del genere dovrebbe comportare?Se è in grado, lo faccia. Ma se non ha la forza di farlo si metta l'animo in pace e si prepari alla guerra a Renzi della magistratura politicizzata che non la pensa come lui!
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