Se ora Greta rosica per il Covid

"Abbiamo perso due anni". Con questa frase Greta Thunberg si è candidata a una trasformazione da bacchetta magica: da principessa dell'allarmismo a regina dell'ottimismo

Se ora Greta rosica per il Covid

«Abbiamo perso due anni». Con questa frase Greta Thunberg si è candidata a una trasformazione da bacchetta magica: da principessa dell'allarmismo a regina dell'ottimismo. Chiunque di noi, infatti, firmerebbe perché il fermo immagine di cui siamo prigionieri come in un incantesimo (sempre in zona fiaba siamo, ma fiaba nera nera) fosse solo di ventiquattro mesi. E invece gli analisti economici ci avvertono che a causa della pandemia il calendario del nostro Pil - quello dell'Italia, ma non è che nel resto del mondo stiano tanto meglio - tornerà indietro di un paio di decenni. Vent'anni buttati. Altro che due, cara signorina Thunberg.

D'accordo, abbiamo volutamente pasticciato, ma spiegheremo presto il perché e il percome. Il dovere professionale ci impone di precisare che la signorina Thunberg nel manifestare al Guardian la sua frustrazione per gli scarsi successi ottenuti a due anni di distanza dal suo primo sciopero in difesa del clima, aveva in mente le sue specialità della casa, e il Covid era solo sullo sfondo: «In questi ultimi due anni - ha detto - il mondo ha emesso anche oltre 80 miliardi di tonnellate di CO2. Abbiamo assistito a continui disastri naturali in tutto il mondo. Molte vite e mezzi di sussistenza sono andati persi, e questo è solo l'inizio». Rieccola, la piccola millenarista che un po' ammiriamo e un po' ci incupisce, che un po' ha ragione e un po' ci infastidisce. Solo che ora, cara Greta, scusaci ma abbiamo altro per la testa.

Abbiamo un virus che è passato come un tifone sulle nostre esistenze, che ha distrutto le vite di molti di noi facendoci perdere affetti, lavori, mesi di fatturati, forse anni se continuerà il taglia-e-cuci di chiusure, riaperture, richiusure che getta un'ombra di incertezza su qualsiasi attività chiunque di noi voglia intraprendere, dall'andare al bar all'aprire un bar. E quando succede questo - e succede una volta ogni due o tre generazioni - poi cambiano le priorità. E il cambiamento climatico, resta un'emergenza assoluta ma ci fa un po' meno paura. Perché se uno vuole smettere di fumare ma poi in ospedale ci finisce perché travolto da un treno e non per un tumore al polmone, pensa prima a guarire e poi alle sigarette. È anche una questione di fatalismo, sentimento forse non troppo costruttivo ma umano, troppo umano.

Quindi signorina Thunberg, non ci venga a dire, come ha fatto ieri, che «i pacchetti di salvataggio dei governi del G20 stanno fornendo un sostegno significativamente maggiore ai combustibili fossili che all'energia a basse emissioni di carbonio».

E forse sì, la ripartenza potrebbe essere «un'opportunità irripetibile per mettere il mondo sulla buona strada». Ma noi abbiamo bisogno di camminare, non di sermoni. È una questione esistenziale, non un capriccio tossico. Perché la decrescita felice ha molti fan, ma la decrescita infelice non può averne nemmeno uno.

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