Se la politica si ribella contro la casta dei magistrati

C'è un aspetto nascosto che colpisce dell'epidemia e, in particolar modo, di com'è gestita a livello locale la campagna di vaccinazione

Se la politica si ribella contro la casta dei magistrati

C'è un aspetto nascosto che colpisce dell'epidemia e, in particolar modo, di com'è gestita a livello locale la campagna di vaccinazione: se si esce fuori dalla logica dei criteri più imparziali, dall'età anagrafica alle categorie più a rischio (operatori del settore sanitario, forze dell'Ordine e insegnanti, a cui magari bisognerebbe aggiungere per l'alto tasso di esposizione nei rapporti sociali, anche le cassiere dei supermercati), le priorità che vengono decise in questa o quell'altra Regione sono una cartina di tornasole della gerarchia dei Poteri reali nel Paese. E ieri le parole asciutte con cui Mario Draghi ha richiamato i governatori ad avere riguardo, come gli antichi, per la vecchiaia, ha squarciato anche il velo di ipocrisia che ha coperto la ratio di certe procedure: «Alcune regioni trascurano i loro anziani in favore di gruppi che vantano priorità probabilmente in base a qualche loro forza contrattuale».

Un vero e proprio j'accuse che da una parte ha messo sul banco degli imputati innanzitutto i magistrati e i professori universitari (rischiano poco visto che gli atenei sono chiusi); dall'altra, ha fatto emergere che, al netto della narrazione populista che imperversa nel Paese da trent'anni, all'ultimo posto c'è la politica, specie quella centrale. Un Potere pavido che da noi non ha la forza, né il coraggio di rivendicare quella classifica dei ruoli «sensibili» che negli altri Stati gestisce le emergenze. Per essere chiari nei Paesi «normali» in caso di guerre, colpi di Stato, appunto, epidemie vengono messi in sicurezza innanzitutto coloro che detengono il Potere politico, quelli cioè che scelti dal popolo non dimentichiamolo - debbono assumere le decisioni per salvaguardarlo. In caso di attacco nucleare, ad esempio, negli Stati Uniti presidente e membri del Congresso vengono subito messi in salvo. Da noi, invece, una retorica populista di quart'ordine che ormai ha messo radici da tempo, assecondata da una classe politica che appena eletta già si sente delegittimata, vuole che siano gli ultimi.

Per tornare alla pandemia, mentre il 90% dei capi del governo dei Paesi occidentali sono stati vaccinati, l'altro giorno si è saputo che Draghi ancora non lo è e che nei prossimi giorni si inoculerà AstraZeneca. Di contro i magistrati (che si sono portati appresso tutti gli operatori di giustizia, dagli ufficiali giudiziari, agli avvocati, ai notai) della Toscana (la Regione che è all'ultimo posto come numero di anziani messi in sicurezza) sono già stati quasi tutti vaccinati. Un criterio che ha fatto insorgere contro la Regione rossa, addirittura, un gruppo di intellettuali di sinistra di primo piano ottuagenari: dal giurista Enzo Cheli allo storico Adriano Prosperi, dal vignettista Emilio Giannelli al critico letterario Romano Luperini. E ha fatto coniare a Matteo Salvini l'espressione «i furbetti del vaccino».

Ieri a Palazzo Madama le parole del premier hanno mostrato ai senatori la cruda verità: nella gerarchia dei Poteri non contano un tubo. Certo la cronaca politica della giornata è andata avanti per conto suo. Matteo Renzi ha inscenato il suo show quotidiano accarezzando Draghi («Stiamo recuperando i mesi persi con Conte»). Mentre il dimissionario capogruppo dei senatori del Pd, Andrea Marcucci, ha ribadito l'antipatia verso Enrico Letta che lo ha fatto fuori: «La mia sostituzione non sarà indolore». Ma la maggior parte dei presenti nel grande Salone di Palazzo Madama ha riflettuto, soprattutto, su quella frase del premier. «Draghi è stata l'interpretazione di Gasparri ce l'aveva con i magistrati. Sono loro la categoria che ha più forza contrattuale perché hanno il potere della minaccia». Una protesta a cui si è lasciato andare anche qualche ministro: «Loro si vaccinano è stato lo sfogo di Renato Brunetta e io che ne avrei diritto perché nella Regione Lazio è il turno dei settantenni come me, evito di richiedere il vaccino per risparmiarmi polemiche. Io capisco che le cassiere, per il lavoro che fanno, possano avere una corsia preferenziale, ma i magistrati perché? È la fotografia della gerarchia dei poteri in Italia». Addirittura a 78 anni a Giacomo Caliendo, che mette insieme i due Poteri (è stato magistrato e ora è senatore forzista), non è rimasto che condividere gli stessi timori: «Non chiedo il vaccino per evitare guai».

I «guai» sono il rischio di finire sotto i riflettori, di essere additato come membro della casta. La verità è che i politici hanno la coda di paglia, mentre i membri di altre caste, ben più potenti, no. «È la grande ipocrisia di questo Paese», ammette Matteo Richetti che sta con Calenda. E di ipocrisia parla anche il capogruppo leghista Massimiliano Romeo: «Draghi con quelle parole ha detto senza infingimenti chi conta davvero in Italia. Sicuramente noi politici non contiamo nulla. Dal privilegio di cui gode la magistratura in un momento così difficile, si capisce chi ha comandato e chi comanda da noi. Una gerarchia che fa paura». La parola fine la mette Luigi Zanda del Pd: «Noi rimarca siamo gli ultimi».

E probabilmente c'è da crederci se il presidente del Senato, Elisabetta Casellati, ha parlato del problema al telefono con il ministro della Sanità, Speranza: invano. Si è sentita rispondere «non è il caso». Mentre i 40 senatori che hanno posto la questione in un'interrogazione (prima firmataria la Binetti, ma c'era pure la firma di una senatrice 5stelle) sono stati quasi linciati dai mezzi di informazione: loro che hanno solo chiesto il vaccino sì, i magistrati che sono stati vaccinati no. Motivo? Possono contare sulla «forza contrattuale di categoria» di cui ha parlato Draghi.

In questa vicenda si tocca con mano il terrore che i politici hanno dell'opinione pubblica. Addirittura gli ottuagenari o settuagenari che siedono sugli scranni di Palazzo Madama hanno il timore di far valere i loro diritti, mentre chi indossa la toga anziano o giovane che sia - no. Una condizione che fa riflettere. Intanto conferma che nella giungla italiana dei privilegi l'unico criterio imparziale in questa campagna di vaccinazione, come dice Draghi, può essere solo quello dell'età. Ma la vicenda in sé, insinua un dubbio più generale: un Potere come quello politico che non ha la forza di far valere i propri diritti, di difendere la propria funzione, di sentirsi legittimato, come potrà mai avere il coraggio di riformare un Paese dove altre caste, altre corporazioni la fanno da padrone? Certo dovrebbe darsi un rigore, dovrebbe dimostrare di difendere innanzitutto gli interessi generali, ma dovrebbe anche credere in quello che è. Dovrebbe, insomma, mettere fine alla cultura di «delegittimazione» che lo corrode, ricordando a tutti che il Potere politico, malgrado sia maltrattato, sputtanato, a volte deriso, alla fine è l'unico che viene espresso direttamente dai cittadini ad ogni elezione. «Invece, se per gli altri vale la regola dell'uno vale uno ironizza Andrea Cangini noi valiamo meno di uno».

E il Covid, nella sua spietatezza, ha fotografato senza finzioni la gerarchia che governa la nostra società: prima della politica vengono la magistratura, la burocrazia, l'economia, la tecnocrazia. «La verità è la sentenza di Paolo Romani da più di venti anni in Parlamento è che noi non contiamo proprio un ca...!».

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