"Si rischia l'impennata". E Draghi si prepara a chiudere gli stadi

C'è il rischio che gli ospedali vadano in tilt e, a causa di molti positivi a casa, che molte attività del Paese si blocchino

"Si rischia l'impennata". E Draghi si prepara a chiudere gli stadi

Il rischio di impennata è dietro l’angolo e il premier Mario Draghi sembra voler correre ai ripari, forse anche chiudendo gli stadi. Prima di prender qualsiasi decisione si è però dato ancora del tempo, qualche giorno per studiare le mosse del nemico, il virus, e agire di conseguenza. Particolarmente importanti sono in questo momento i dati relativi alle pressioni sulle strutture ospedaliere e quanto i nuovi positivi possano creare problemi ai servizi essenziali. Molte le corse cancellate al giorno sui treni Trenord proprio per la mancanza di personale in isolamento. Entro il prossimo mercoledì, a seconda di come evolverà la situazione verranno prese valutazioni anche per quanto riguarda l’apertura degli stadi al pubblico. Intanto l’idea sembra quella di stanziare nuovi ristori al turismo.

Le ipotesi sul tavolo

Per lunedì 10 gennaio potrebbe esserci un incontro tra il presidente del Consiglio e i giornalisti per fare il punto e parlare anche in difesa della riapertura delle scuole e delle attività economiche. Il picco dei contagi dovuti alla variante Omicron ancora non si vede, ma sarà rapido, come del resto è la diffusione di questa variante, così come sarà forse veloce il calo. Qualcuno parla di metà gennaio, altri della fine del mese. Ovviamente gli ospedali ne sentiranno gli effetti almeno fino a metà febbraio.

L'ultimo report della Cabina di regia non lascia tranquilli gli esperti dell’Iss e del ministero della Salute, si tratta dell'ultimo testo sull'andamento dell'Rt-ricoveri. Preoccupa il fattore che calcola la crescita delle ospedalizzazioni. Nel certificato di ieri era pari a 1,3. In crescita rispetto allo scorso venerdì quando era pari a1,18. Ma il documento in questione prevede anche cosa potrebbe accadere qualora l'Rt arrivasse a 1,5 per le prossime quattro settimane. Adesso i ricoveri ordinari sono14.600, in quel caso arriverebbero a 60mila. Quasi il doppio dei 35mila ricoveri che si erano registrati nel novembre del 2020, ovvero il mese considerato il peggiore dall’inizio della pandemia. Se ciò avvenisse gli ospedali potrebbero andare in tilt. Ma questa è solo la peggiore delle ipotesi.

Ospedali in affanno al Sud

Quella migliore si basa su un Rt a 1,2, sempre sulle quattro settimane. In questo caso i ricoveri salirebbero a 25mila e la situazione sarebbe ancora gestibile. Intanto c’è da dire che non per forza ci sarà lo stesso valore di Rt per 4 settimane consecutive, e poi la previsione non tiene conto dei ricoveri in terapia intensiva, questo perché ancora non si è capito bene se la Omicron sia grave o no. Al momento i ricoveri sono soprattutto nei reparti ordinari. Ciò non vuol dire che alcuni ospedali, soprattutto quelli delle regioni del Sud, non siano in affanno. In queste zone se dovesse verificarsi l’ipotesi peggiore si dovranno metter in campo interventi emergenziali.

In un video a commento dei dati del monitoraggio settimanale il presidente dell'Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, ha detto senza troppi giri di parole che nell'ultima settimana si registra un "cresciuta occupazione dei posti in area medica (21.6%) e terapia intensiva (15.4%). L'aumentata pressione sui servizi ospedalieri rende necessario invertire rapidamente la tendenza per evitare condizioni di estremo sovraccarico dei servizi sanitari". Nel report compilato dagli esperti del ministero della Salute e della Cabina di regia si legge anche un passaggio che sembra un’accusa al governo che non ha saputo mettere in campo provvedimenti necessari: “In assenza di misure di mitigazione significative, un ulteriore rapido aumento del numero di casi e ospedalizzazioni nelle prossime settimane è altamente probabile”.

Tanti i positivi in isolamento a casa

Secondo Brusaferro è probabile “che in 4 settimane si raggiunga una saturazione pari al 30-40 per cento delle aree mediche”. Le Regioni a rischiare di più sono Umbria, Marche, Campania e Valle d'Aosta. Come riportato da Il Messaggero, il dottor Alessandro Vergallo, presidente dell'Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri ha spiegato: “A fine gennaio saremo nel livello massimo di difficoltà e l'emergenza proseguirà per lo meno fino a metà febbraio. Quando diciamo che per i pazienti Covid le terapie intensive sono al 15 per cento, non significa che l'85 per cento dei letti di rianimazione sia libero, perché ci sono anche altre patologie. Inoltre, negli ospedali ci sono almeno 700-800 contagiati da Covid, in attesa di ricovero anche per 72 ore nei settori di osservazione breve dei pronto soccorso. Molti sono quanto meno da sub intensiva, hanno il casco per l'ossigeno. Ma nei conteggi non li vediamo, sono fantasmi”.

E poi c’è ancora la variante Delta che secondo Walter Ricciardi continua a correre parallela alla Omicron. Situazione preoccupante in Sicilia dove tutti gli ospedali sono in crisi e davanti al Cervello di Palermo è stata allestita una tensostruttura. Su 16 ricoverati in rianimazione sono 14 i pazienti Covid, e di questi 13 non sono vaccinati. Problemi si registrano anche in altre strutture, dalla Campania al Lazio. Vergallo punta a sottolineare che “un prezzo molto alto lo pagheranno anche i pazienti di altre patologie: si stanno bloccando gli interventi e le prestazioni per la prevenzione”.

I dati chepreoccupano

Tanti soggetti positivi sono già a casa in isolamento e questo, se il numero dovesse salire ancora, potrebbe a breve paralizzare molte attività del Paese. Già la situazione non è facile sui treni e sui trasporti in generale, e neppure nelle strutture scolastiche e in quelle sanitarie. Basti pensare che anche tra i sanitari stanno aumentando i positivi. Antonio De Palma, del sindacato infermieri Nursing ha così commentato: “I dati adesso fanno paura: siamo passati da 13.720 operatori sanitari contagiati ogni 30 giorni il 4 gennaio scorso, allo spropositato numero di 20.179 dopo soli 3 giorni. Praticamente 6.459 operatori sanitari in più sono stati infettati in sole 72 ore, e quindi ben 5.296 infermieri. E in un gran numero di ospedali italiani, gli infermieri positivi ad un tampone rapido, continuano a lavorare per almeno 48 ore, fino all'esito del molecolare”.

Obbligo vaccinale ed estensione del super Green pass non daranno comunque effetti a breve. In aiuto potrebbe arrivare lo smart-working per i dipendenti delle aziende private.

Se anche questo non fosse sufficiente si dovrà pensare a qualcosa di nuovo, come chiudere gli stadi. Alcune categorie essenziali potrebbero poi avere il diritto di deroga alla quarantena durante il periodo di positività.

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