Trasportato prima a spalla dai colleghi giù per uno sconnesso sentiero di montagna. Poi trascinato fino all’auto di servizio “a bordo di una carriola da muratore”, come "un sacco di patate" qualsiasi. È successo domenica al cantiere Tav di Chiomonte, in provincia di Torino, ad un poliziotto del III Reparto mobile di Milano rimasto ferito durante un servizio nei boschi della Val Susa.
Domenica mattina il poliziotto viene comandato di servizio a difendere l’opera pubblica da anni nel mirino dei facinorosi No Tav. L’operatore è inquadrato nella squadra sigla radio “reparto Milano 22”. Tutto scorre quasi normalmente all’interno dell’area di cantiere non lontano dal viadotto. Alle 14 però dalla questura di Torino arriva l’ordine di mobilitarsi: i poliziotti vengono spediti in località Gaglione. L’obiettivo della missione è quello di stanare un gruppo di manifestanti che sta occupando l’area circostante una antenna. Normale amministrazione, se non fosse che la zona non si raggiunge con l’auto di servizio: gli agenti sono costretti ad avventurarsi lungo un sentiero di montagna disconnesso, con elevata pendenza e molto stretto. Il tutto a ridosso di un precipizio. I capi squadra comandano ai loro uomini di procedere in colonna per evitare brutte sorprese. La fatica si fa sentire: per affrontare i No Tav i poliziotti camminano con tutto l’equipaggiamento del caso: protezioni, casco, maschere antigas, scudo antisommossa. Non proprio una scampagnata tra i boschi con grigliata finale.
Durante la marcia accade quello che non doveva succedere. Uno degli operatori perde l’equilibrio e per non precipitare nel vuoto appoggia male il piede, si fa male alla caviglia e cade rovinosamente a terra. L’agente non può proseguire. I colleghi lo lasciano lì con un uomo a sua difesa e procedono incontro ai manifestanti. Il resto è normale amministrazione: i poliziotti respingono i facinorosi e poi tornano indietro. Sul sentiero incontrano di nuovo il ferito e a turni di due lo trascinano a peso giù dalla montagna. I dolori non mancano. Così come la fatica di portare a braccia un uomo sulla stretta stradina boschiva. La speranza è quella di raggiungere appena possibile un posto dove permettere il soccorso del 118. Peccato che al check point “Giaglione” non ci sia nessun sanitario, né una autolettiga o un'ambulanza per soccorrere eventuali feriti. Che fare? Il poliziotto va portato in ospedale. Così i colleghi lo caricano su una carriola da muratore e gli fanno percorrere così l’ultimo tratto di strada. Poi lo issano su un Discovery e lo portano al pronto soccorso CTO di Torino.
Il referto medico parla di dieci giorni di prognosi. L’agente oggi convive con una fasciatura semirigida dopo gli accertamenti radiografici e le visite del caso. Si rimetterà. Ma ora è tempo per le polemiche, sopratutto per la "mancanza di mezzi di soccorso" sul posto. “Siamo stufi di dover contare feriti, nella speranza che non si arrivi a qualcosa di più grave - dice al Giornale.it il segretario provinciale Fsp Polizia di Stato, Pasquale Alessandro Griesi - I reparti mobili negli anni hanno pagato un prezzo altissimo al cantiere TAV, con feriti gravi causati da delinquenti abituali privi di ogni scrupolo”. A far infuriare Griesi è il fatto che gli uomini vengano “indiscriminatamente impiegati all'esterno dell'area di cantiere e abbandonati a loro stessi nei boschi della Val Susa”. Le domande sono tante: perché far addentrare i manifestanti tra gli alberi “quando basterebbe fermarli ai parcheggi?". Poi: “Quanto possono essere reattivi degli uomini lasciati al freddo estremo per ore e ore in caso di attacco?”.
E ancora: “Ma è mai possibile che se si fa male un manifestante quasi arriva l'elisoccorso e noi veniamo portati via con una carriola come sacchi di patate?”. Per Griesi “ciò che è avvenuto è davvero assurdo”. E in fondo non chiede tanto: solo che ai feriti venga garantito almeno “un mezzo di soccorso idoneo”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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