"Quello che è successo non si può cambiare, purtroppo. Ma alle donne che come me hanno subito un torto così grande vorrei dire: possiamo farcela, possiamo uscire anche da una notte così buia". Comincia così il racconto di Sara (nome di fantasia), 26 anni, stuprata da un clandestino mentre stava andando al lavoro, in prossimità dell'ospedale San Raffaele di Milano. L'aggressore, un 31enne di nazionalità egiziana, è stato incastrato grazie alle immagini delle telecamere di sorveglianza cittadina e alle tracce di Dna lasciate sul luogo dell'aggressione. "Non voglio né vederlo in udienza né lo potrò mai perdonare. La sola cosa che desidero è che resti in carcere. La sola cosa che voglio sapere di lui è quanti anni rimarrà dentro", racconta la 26enne in una intervista al Corriere.it.
L'aggressione
I fatti risalgono ad agosto del 2021, nei pressi di Cascina Gobba. Sara, che lavorava per un'azienda esterna dell'ospedale San Raffaele, sta raggiungendo il nosocomio a piedi quando è viene avvicinata da uno sconosciuto. "Erano le 6.30/6.40. - ricorda - Sono scesa alla fermata del metrò di Cascina Gobba. Per arrivare all’ospedale c’è un tratto a piedi. Avevo le cuffiette, ho sentito una presenza dietro di me, mi sono voltata un attimo e l’ho visto. Aveva pantaloncini corti e uno zainetto sulle spalle. Credevo che andasse di fretta così mi sono spostata per dire: 'passa'. Ma lui non mi superava e ho cominciato a innervosirmi, ho accelerato il passo. Finché sono arrivata davanti a quel fossato e lui mi ha spinto dentro. Il fossato finisce in un buco e nel buco c’era un tubo...".
Lo stupro
Lo sconosciuto afferra Sara per un braccio e la spinge in una vasca di scolo: è l'inizio dell'incubo. "È successo tutto lì, dentro il tubo. - racconta la 26enne - Con lui che continuava a ripetere quel suono fastidioso... Ssst. Ha detto soltanto questo per tutto il tempo: ssst. Lo sento ancora adesso quel sibilo maligno: ssst. Io urlavo, lo imploravo: ti prego, ti prego, non farmi del male. Per zittirmi a un certo punto mi ha messo la sua mano lercia sulla bocca, ma mi chiudeva anche il naso e mi stava soffocando". Sara prova a reagire ma l'aggressore non le dà scampo: "Ho pensato alle mie bambine, ho avuto paura che non sarei mai più uscita viva da quel buco. Il suo ginocchio premeva sulla mia schiena. Non potevo fare nulla, soltanto aspettare che finisse".
La denuncia
Quando lo sconosciuto si dilegua, Sara si affretta a raggiungere il San Raffaele. Le prime persone a prestarle aiuto sono i colleghi di lavoro. "Ero terrorizzata. - spiega - Ho aspettato un po’ prima di uscire da quel posto lurido perché avevo paura che fosse fuori ad aspettarmi. Sono riemersa che erano più o meno le sette. Sono arrivata al San Raffaele che mi guardavano tutti. Ero sporca, spettinata, piena di terra... uno schifo. Ho raggiunto le colleghe che tremavo. Una di loro mi ha portato al pronto soccorso". Dopo la visita al soccorso antiviolenza, la 26enne decide di denunciare l'accaduto ai carabinieri: "è venuta l’ispettrice che poi ha seguito la mia storia. Bravissima, non finirò mai di ringraziarla. Sono dovuta tornare nel buco con una pattuglia per le indagini: hanno trovato e preso il mio elastico dei capelli e le cuffiette che mi erano cadute, hanno cominciato a guardare i filmati delle telecamere del mio percorso. Mi seguiva dalla stazione del metrò".
La paura
L'aggressore, un clandestino sbarcato a Lampedusa a luglio del 2021, viene catturato in tempi record. A tradirlo sono le immagini delle telecamere di sorveglianza cittadina e poi, successivamente al fermo, il match genetico con le tracce di Dna lasciate sugli effetti personali della vittima. Il peggio è passato ma la vittima non riesce a scrollarsi di dosso quella terribile sensazione di angoscia: "Ho tutte le paure del mondo. - confida - Mi spavento se un uomo mi fissa, mi spavento se un uomo viene verso di me, mi spavento se ho la sensazione di avere qualcuno alle spalle. Ho paura degli uomini. Mi sento più sola e mi sembra che non ci sia una persona che mi capisca davvero. Il padre delle bambine è ricomparso da poco ma con lui non ho avuto contatti per anni. Con il fidanzato ho rotto. Insomma: non è facile. Ma va ogni giorno un po’ meglio. Deve andare meglio". Sara sta provando a rifarsi una vita.
E nel tentativo di gettarsi alle spalle l'orrore subito si aggrappa ad un pensiero felice: "Le mie bimbe - conclude - Per loro fingo che vada tutto bene anche quando non va tutto bene. Ce la farò ma è ancora troppo presto: una parte di me è ancora in quel buco".
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