Sulle lobby leggi fumose e ipocrite

Beppe Grillo è nei guai. È finito in un territorio di confine, pieno di ombre, dove politica e giustizia giocano a rimpiattino

Sulle lobby leggi fumose e ipocrite

Beppe Grillo è nei guai. È finito in un territorio di confine, pieno di ombre, dove politica e giustizia giocano a rimpiattino. Qui perfino i dottori della legge confessano di perdersi. L'origine è il reato di traffico di influenze. È una legge del 2012 pensata da Paola Severino. L'obiettivo era colpire il sottobosco della democrazia, quel mercato che da sempre c'è intorno al potere. Il mondo anglosassone chiama tutto questo lavoro di «lobbying». È una pressione sul Palazzo e lì è regolamentata. Quello che si chiede è la trasparenza e la consapevolezza. Gli elettori devono sapere, solo per fare un esempio, chi finanzia un partito o un singolo politico. Lobby è una parola che viene dal latino medioevale, da laubia. È la loggia, il portico, da cui si guarda, si ascolta, si interferisce con gli affari della cosa pubblica. Si racconta che il primo a usarla sia stato nel 1553 il pastore episcopale Thomas Bacon e sia stata poi ripresa da William Shakespeare nell'Enrico VI. Ora capire quanto questa pratica cada nel traffico di influenze non è affatto facile. La discrezionalità del giudice è ampia e per forza di cose finisce per avere conseguenze arbitrarie sulle dinamiche politiche. È insomma uno di quei terreni ambigui dove la giustizia può «influenzare» le sorti della democrazia. Paola Severino direbbe che il senso della sua legge è chiaro. Si tratta di estirpare dalla morale pubblica la mala erba dei faccendieri. L'obiettivo dichiarato sono proprio loro. A complicare le cose è però arrivata poi, due anni fa, la «spazzacorrotti», un sistema di leggi voluto proprio dai grillini dove i fatti finiscono per confondersi con gli atteggiamenti. È così che l'ambiguità è cresciuta ancora di più.

Grillo è inciampato nella sua stessa rete. È la vendetta di quello sceneggiatore burlone chiamato destino. L'armatore Vincenzo Onorato, amico di lunga data e fondatore di Moby Lines, ha finanziato con inserti pubblicitari per 120mila euro l'anno le società di Grillo. In cambio avrebbe chiesto qualche favore, di intercedere con alcuni parlamentari Cinque Stelle su alcune questioni che lo riguardavano: la proroga di una concessione, una controversia con Tirrenia e benefici fiscali per le sole navi imbarcano equipaggi italiani e comunitari.

Il giudizio spetta ai tribunali. Ora però bisogna fare i conti con l'ipocrisia. Questo lavoro di influenza avviene tutti i giorni nei palazzi della politica. Il lobbismo è una professione. Non è un lavoro clandestino.

È riconoscere che la politica è anche mediazione tra interessi privati. È ricordare, come fece Bettino Craxi davanti a un Parlamento muto e ipocrita, che la democrazia costa e bisogna trovare il modo più trasparente per finanziarla.

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