Quando in una emergenza, esattamente come in una guerra, si procede in ordine sparso, quando manca la voce unica del comandante in capo e l'incertezza prevale è il momento nel quale arriva il caos. E, purtroppo, quel momento sta arrivando, per ora ha preso forma nelle rivolte di strada a Napoli, ma nessuno può escludere che la protesta sfoci in violenza anche altrove, pilotata o no che sia dalla criminalità o da frange estremiste della politica. E, come la storia insegna, più dura sarà la repressione più salirà lo scontro, perché chi cerca il caos non teme le conseguenze del caos.
Ora bisogna impedire che la rabbia organizzata si saldi con quella spontanea della gente che si sente abbandonata dallo Stato, vuoi dal punto di vista economico, vuoi per le estenuanti lentezze del sistema sanitario, sistema al momento ancora efficiente se sei malato grave, ma assente nell'assistere materialmente e psicologicamente i tanti «lievemente positivi» e le loro famiglie. L'abbandono genera frustrazione, la frustrazione genera rabbia, la rabbia fa perdere il lume della ragione al punto che non pochi cittadini in queste ore non esprimono una netta condanna nei confronti dei rivoltosi di Napoli.
A questo punto non basta riportare ordine nelle strade schierando la polizia, va riportato prima nei palazzi della politica, negli ospedali e negli ambulatori. La domanda è: questo governo è in grado di farlo, chiuso nel suo dorato isolamento politico e sociale? Io temo di no, se non è stato capace di farlo in otto mesi non si capisce come potrebbe farlo nelle prossime otto settimane. Lo abbiamo detto tante volte: il virus non è colpa di Conte e nessuno ha la bacchetta magica. Ma oggi inefficienze e ritardi non sono più accettabili, o meglio non sono più accettati dagli italiani che stanno dando importanti segnali in tal senso.
La politica dell'annuncio, del rinvio, delle conferenze serali in diretta tv e degli accordi «salvo intese» ha esaurito la sua forza magnetica sull'opinione pubblica.
Gli inviti a modelli di comportamento lasciano il tempo che trovano. Serve un comandante che dia ordini chiari, precisi e, se serve, pure dolorosi, ma purtroppo non lo abbiamo. Non ci salveremo chiudendo i ristoranti, bisogna aprire un nuovo ciclo.
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