Terra dei fuochi, Don Patriciello: lo Stato ci chieda perdono

L’inferno dell’ecomafia tra Napoli e Caserta: il racconto di Don Patriciello, prete anticamorra di Caivano

Terra dei fuochi, Don Patriciello: lo Stato ci chieda perdono

“La terra avvelenata avvelena i suoi figli, o attraverso la diossina che si respira nell’aria o con l’acqua inquinata delle falde. Papa Francesco lo ha detto con grande chiarezza: Dio perdona sempre, l’uomo qualche volta, la natura non perdona mai”. Don Maurizio Patriciello, prete di Caivano, combatte da anni contro la Camorra e il dramma della Terra dei fuochi: tra Napoli Nord e Caserta Sud il malaffare mafioso, l’imprenditoria disonesta e una politica che chiude gli occhi, banchetta sulla pelle di una popolazione che tutti i giorni respira diossina e beve acqua avvelenata.

Un anno fa l’allora governo Letta istituiva il reato di combustione di rifiuti per cercare di porre fine ai roghi tossici. Cosa è cambiato?

"Poco. I roghi si spostano, ma non possono finire. Il provvedimento non ha messo mano all’origine del problema. Ciò che viene bruciato sono gli scarti delle industrie che lavorano in nero: la catena non è stata spezzata".

Si doveva intervenire a monte.

"È stata una legge piccola piccola; noi lo dicemmo subito al ministro Orlando. La misura va a colpire l’ultima ruota del carro, ovvero le persone – rom, immigrati,disoccupati – che materialmente appiccano i roghi nelle campagne, ma lascia impuniti i mandanti. Insomma, la legge non ha risolto quasi niente. C’è questo abbraccio mortale tra Camorra, imprenditoria disonesta e una politica collusa, corrotta e ignava che non ha voluto fare niente. La fabbrica che produce – in nero – scarpe, borse e tessuti continuerà, per risparmiare sullo smaltimento dei rifiuti, a interrare o a bruciare gli scarti".

Per quanto riguarda invece la mappatura dei terreni, a che punto siamo?

"Si sta andando avanti isolando alcune zone, ma di volta in volte ne escono di nuovi".

Un esempio?

"Alle falde del Vesuvio, ad Ercolano. Alcuni miei confratelli – Don Marco Ricci e Don Giorgio Pisano – hanno invitato dall’altare i loro fedeli a rivelare loro, nel segreto della confessione, qualsiasi cosa sapessero. Bene, hanno ricevuto alcune confidenze e la Guardia Forestale è andata a scavare in un sito sul Vesuvio indicato dai fedeli: sono saltati fuori almeno cento fusti che purtroppo avevano già inquinato il terreno con i loro veleni".

La gente ha paura di ritorsioni.

"È normale, c’è di mezzo la Camorra, ma non solo. Quando penso alla paura mi vengono in mente le parole di Raffaele Cantone: tra un camorrista e un colletto bianco è più facile difendersi dal primo".

Lei combatte tutti i giorni. Sente lo Stato al suo fianco o dall’altra parte della barricata?

"È un discorso di uomini. Alcuni uomini di Stato sono impegnati e sono grandi persone, altri lo sono meno e altri ancora – come vediamo in televisione tutti i giorni – scendono a patti scellerati con queste associazioni terrificanti".

Lo Stato non c’è (abbastanza).

"Le faccio un esempio. L’anno corso, come misura straordinaria, ci hanno inviato i militari, ma noi non li volevamo: la nostra richiesta fu quella di potenziare in maniera perenne le forze dell’ordine presenti sul territorio. Niente da fare e così l’italiano medio si sveglia il mattino e viene a sapere che in Campania è stato mandato l’esercito per affrontare e risolvere magicamente l’emergenza. Sarebbero dovuti arrivare mille militari per due anni; ecco, l’italiano medio forse non sa che quei mille si sono ridotti a cento, per soli 12 mesi, per di più divisi tra Napoli e Caserta: sedici o diciassette ragazzi a turno cosa possono fare in un territorio così esteso e così problematico? A fine anno se ne andranno e con grande sofferenza devo dire che non sono serviti proprio a niente".

Vi sentite abbandonati?

"Ci arrivano risposte-non risposte come quella. E io allora mi chiedo: perché lo fanno?"

Quanto è forte la delusione?

"Non abbiamo tempo per pensarci. Noi lottiamo e combattiamo tutti i giorni, a partire dalle scuole, dai nostri ragazzi."

Le morti non si fermano e anche lei ha perso un fratello per una leucemia.

"Sono tantissime. Il direttore del cimitero di Caivano racconta che ogni anno arrivano circa trecento salme: il 70% di sono morti di cancro. È una percentuale immensa, crudele. La terra avvelenata avvelena i suoi figli, o attraverso la diossina che si respira nell’aria o con l’acqua inquinata delle falde. Papa Francesco lo ha detto con grande chiarezza: Dio perdona sempre, l’uomo qualche volta, la natura non perdona mai".

Morti che sporcano di sangue le mani dello Stato?

"Mi sono scambiato delle lettere con il Presidente della Repubblica: l’ho invitato, prima della dimissioni, a venire in questa terra, che è la sua. Come ultimo atto del suo nobile mandato spero che venga qua a stringere la mano a queste persone e a chiedere loro perdono, non a nome personale ma a nome di ciò che rappresenta. Sono tutte vittime innocenti dell’Ecomafia".

È ormai troppo tardi o la speranza, in quest’inferno, rimane viva?

"Ho scritto un libro “Non aspettiamo l’Apocalisse” con Marco Demarco.

Io voglio arrivare prima della fine; mi riferisco alle parole del Giovanni Balestri, che ha prospettato il peggio per il 2064, quando il percolato avrà raggiunto la falda acquifera profonda tra Napoli e Caserta. Non rimaniamo con le mani in mano".

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