"Ti strappo un orecchio". E ancora, "Studia a voce alta, altrimenti ti strappo una guancia". Sono soltanto alcuni dei rimproveri intimidatori rivolti dall'imam Shahadat Hossein, 23 anni del Bangladesh, agli allievi della scuola coranica di Padova.
Definirli sommariamente "rimproveri" suona piuttosto riduttivo alla luce delle indagini svolte dalla Digos locale che, in tempi brevi, hanno svelato l'orrore tra i banchi del Bangladesh cultural center del quartiere Arcella di Padova. Un dramma quotidiano, fatto di botte e vessazioni, quello a cui erano costretti bambini in età compresa tra i 7 e gli 11 anni. Ogni sacrosanto giorno, i due predicatori, dapprima Ahmed Junayed (il 20enne espulso lo scorso mercoledì 20 novembre con il sospetto di antisemitismo e condotta violenta) e poi Shahadat, obbligavano i giovanissimi studenti del centro a letture estenuanti del Corano con violenza sfrenata. Più inclini all'uso della verga che all'interpretazione delle sure.
"Se fate ancora rumore, vi picchio". E poi calci, pugni a pieno volto e bastonate random al corpo. Erano questi i metodi "educativi" del imam che, al pomeriggio, impartiva lezioni di religione e lingua araba nella sede dell'associazione islamica dell'Arcella. Così, il 23enne terrorizzava gli allievi senza mancare, inoltre, di dileggiarsi in piccole e sadiche torture. Accadeva sovente, infatti che i bambini fossero costretti ad assumere la cosiddetta "posizione del pollo": con le gambe piegate, la testa china in avanti e le braccia dietro le ginocchia. Condizione che poteva perdurare per oltre 10 minuti, a discrezione del bengalese.
Sono state le maestre della scuola elementare a segnalare la sospetta condotta violenta del 23enne riportando alla polizia le confessioni sconcertanti degli studenti. "Una bimba – racconta un' educatrice agli inquirenti – dice di essere triste perché picchiata in moschea". Le vittime – 7 in totale, si legge in un articolo di approfondimento del Corriere della Sera - rivelano che il nuovo imam "è molto severo" e da lui "prendono botte sulle mani e sulla schiena con una bacchetta. Poi, vengono messi in punizione". Il più piccolo ha 7 anni, il più grande solo 11.
A seguito della denuncia, l'11 settembre, gli agenti della Digos piazzano delle telecamere di sorveglianza all'interno della struttura, al fine di vigilare l'imam durante lo svolgimento delle lezioni. E le scene di violenza efferata catturate in video, sono davvero raccapriccianti. In un episodio risalente al 16 settembre, Shahadat colpisce un bambino con un pennarello poi, con uno schiaffo che gli fa perdere l'equilibrio e, infine, ordina al piccolo di avvicinarsi per sferrargli un pugno sul viso. Un altro studente, invece, viene deriso e umiliato davanti a tutti "è cattivo – grida il precettore bengalese puntandogli il dito contro – non sta mai fermo, sembra il diavolo".
Appurata la gravità dei fatti, dopo solo 5 giorni di stretta osservazione – sufficienti ad attestare le violenze – il 1 ottobre scorso scattano le manette per Shahadat Hossein e Ahmed Junayed su ordinanza del gip di Padova. "Le lezioni – si legge nell'ordinanza – invece di portare a una crescita spirituale dei bambini, impongono loro percosse e vessazioni".
Ma uno degli aspetti più drammatici di questa vicenda è rappresentato dall'atteggiamento di connivenza dei genitori che "sanno", scrive il magistrato nelle carte dell'inchiesta. Addirittura, un papà afferma che "finché non vede i segni, va tutto bene" e un altro "lascia intendere di essere a conoscenza di quanto avviene nella scuola coranica sorvolando sulla questione con un sorrisetto". Ma per la procura, gli allievi vengono fatti piangere per il dolore e la paura, così da costringerli ad un regime di vita doloroso e avvilente. In buona sostanza, i metodi dell'imam vengono approvati dalle famiglie degli scolari. E anche dopo l'arresto dell'uomo qualcuno avrebbe avuto l'ardire di difenderlo: "Ha perso la pazienza, ma è un brav'uomo", commenta un genitore.
Intanto Shaddat che, quando è stato tratto in arresto, sembrava cascasse dal pero – "Perché, cosa ho fatto?",
aveva detto agli agenti mentre veniva prelevato dalla sua abitazione – adesso si dice "pentito" davanti al Tribunale del Riesame. Dopo soli 20 giorni di carcere e un mesetto di domiciliari, è già in cerca di un nuovo lavoro.
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