Non ci vede chiaro il Dap, che ipotizza che si tratti di un «gesto dimostrativo » e che nel frattempo ha ulteriormente intensificato le restrizioni del 41 bis. Non ci vede chiaro il suo avvocato, che lunedì presenterà una doppia istanza, alle Procure di Palermo e di Caltanissetta, per chiedere che sia fatta chiarezza su quanto accaduto, mercoledì notte, in quella cella del carcere di Parma. E non ci vedono chiaro neanche gli esperti, concordi solo sul punto che un vero boss, in possesso delle sue facoltà mentali, non si suicida, perché per la sua mentalità togliersi la vita sarebbe un segno di debolezza.
È giallo sul tentato suicidio di Bernardo Provenzano, il capomafia più ricercato d’Italia sino a quell’11 aprile del 2006 quando l’impossibile è avvenuto: fantasma catturato, preso dopo 43 anni di latitanza, a casa sua, Corleone. Troppe le cose che non tornano. A cominciare dal sacchetto di plastica che il superboss, nella notte tra mercoledì e giovedì, a mezzanotte e mezza, si è messo in testa, nel tentativo- vero o falso che sia- di suicidarsi. Il Dap si è precipitato a far sapere: non c’è nessun mistero sulla presenza del sacchetto, al 41 bis poteva tenerlo perché il divieto riguarda solo chi ha tendenze suicide, e dunque non, almeno sinora, Provenzano.
Ma il legale di «Binnu», Rosalba Di Gregorio, tuona: «È dai tempi del suicidio di Antonino Gioé che i sacchetti sono vietati. È una vicenda oscura, lunedì prossimo presenterò istanza alle procure di Palermo e di Caltanissetta perché si faccia luce su quanto accaduto ». Un indizio su dove il boss, sorvegliato 24 ore su 24, abbia potuto prendere il sacchetto arriva dal racconto, nel libro Detenuti , dell’onorevole Melania Rizzoli. La parlamentare Pdl, che è medico, ha visto il superboss un anno fa, a maggio del 2011. E descrivendo il suo pasto scrive: «Vedo un uomo molto vecchio, molto magro e molto curvo, evidentemente malato, intento a mangiare lentamente del cibo con una forchetta di plastica da un piatto di plastica, ancora mezzo infilato nella busta di cellophane trasparente ». Potrebbe essere uno di quei sacchetti quello con cui il capomafia ha tentato di suicidarsi? «Dopo averlo saputo mi è tornata in mente quell’immagine», dice la parlamentare, che però ritiene sia «difficile » il tentato suicidio.
È un Provenzano bifronte quello che descrive l’onorevole Rizzoli.Bifronte,come doppia è l’immagine che i pentiti e le cronache giudiziarie hanno cristallizzato di lui: il contadino tanto rozzo da meritarsi il soprannome di«u tratturi»,il trattore;e il fine politico ideatore della strategia dell’inabissamento della mafia, niente stragi e affari tranquilli. La Rizzoli, da medico, vede il vecchio malato, con i pannoloni in cella: «Il mio primo istinto di medico –annota –sarebbe quello di farlo sdraiare a letto e di mettergli una flebo ». Ed ancora: «A me Provenzano sembra un paziente neurologico demente e anche disorientato. Sembra che non capisca, e non ho l’impressione che simuli».
Ma qua e là Provenzano, che sotto lo sguardo stupito del direttore del penitenziario rivolge la parola all’onorevole Rizzoli, ha dei guizzi sul «volto amimico», quasi senza espressione. Come quando la parlamentare gli chiede se sappia dove si trova, e lui replica «con un lampo negli occhi: “In questo posto mi ci purtarono per forza”. O quando non va dal direttore del carcere, perché vuol essere invitato: «Non parla nemmeno con me –racconta il direttore – mi ha fatto sapere che desidera essere ricevuto ma vuole che sia io a chiamarlo... si considera “il Capo” anche qui». Che Provenzano, a 79 anni, una recidiva del cancro alla prostata che, da latitante, gli è stato asportato a Marsiglia, un’ischemia e il morbo di Parkinson, non sopporti più il carcere, è evidente. Se così non fosse il figlio Angelo non si sarebbe fatto intervistare in tv da Santoro a Servizio Pubblico (la famiglia è sempre rimasta nell’ombra) per chiedere cure e trattamento umano. «Sono stata io a chiedere una perizia psichiatrica – dice ancora l’avvocato Di Gregorio – perché, dalle risposte alle mie comunicazioni, mi è sorto il dubbio che non fosse più in sé. E i periti hanno scritto che ha una demenza senile,anzi un’encefalopatia vascolare ingravescente ma che può restare in carcere, e che non è depresso. Se il tentato suicidio è vero chi hanno esaminato? ».
Le misure restrittive, per Provenzano, ora sono state intensificate. Niente più fornellino in cella, ulteriori precauzione su forchette, lenzuola. Il tentato suicidio, se falso, si è rivelato un boomerang. Quanto alle reazioni, politiche e dei familiari delle vittime, è un coro: simula, nessun passo indietro. Persino il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso è cauto.
Anche se, dai microfoni della Zanzara , lancia un appello alla collaborazione: «Per la morte di Provenzano forse non avrei pianto. Può aiutarci a risolvere dei misteri di questa Italia. Dacci – ha concluso rivolgendosi direttamente a lui – una mano».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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