Vietati cani per ciechi. L'ottusità bestiale ​di un hotel di Rimini

La signora Patrizia è cieca, ma, come la sfortuna, ha "visto" benissimo la durezza, la rigidità che sta dietro a una formuletta

Vietati cani per ciechi. L'ottusità bestiale ​di un hotel di Rimini

Niente da fare, non se ne parla neanche, qui i cani non entrano, nemmeno quelli a sei zampe, strane bestie mezzo cane (appunto) e mezzo uomo (e qui sta il punto). L'hotel è «pet free», che in italiano suonerebbe più o meno: de-animalizzato. Cioè può ospitare soltanto bipedi rigorosamente umani. Questo, anche se scritto da cani, è il senso della risposta, articolata invece umanissimamente con tanto di «politica aziendale», «obblighi commerciali e morali» e «conformi al contratto stipulato», che la signora Patrizia ha ottenuto da un albergo di Rimini. Albergo che immaginiamo tirato a lucido e anzi sterilizzato al massimo grado, senza un microbo che sia uno. Il fatto è che la signora Patrizia, essendo cieca, con il suo cane va in giro non per importunare i vicini, né per sporcare con i bisognini, né per abbaiare tutta la sua rabbia, o la sua tristezza. Il cane le serve per «vedere» quel poco che le basta per sopravvivere. In altri termini, è lei che fa del suo cane una strana bestia a sei zampe, è lei la vera bestia.

Quando la signora Patrizia prende il tram, o il treno, o va a fare la spesa, o va negli uffici comunali a rinnovare la carta d'identità, nessuno le picchietta sulla spalla sussurrandole, umanissimamente, «mi scusi sa, ma questo posto sarebbe pet free», sferrando un condizionale come se fosse un calcio nel culo. Ma questa volta che voleva farsi qualche giorno di vacanza, non ha potuto, almeno non lì, nell'hotel pet free, toccando con mano quanto il «privato», a volte, sappia essere molto peggio del «pubblico», quanto l'eurocrazia sia molto peggio della burocrazia. La signora Patrizia è cieca, ma, come la sfortuna, ha «visto» benissimo la durezza, la rigidità che sta dietro a una formuletta, a un'etichetta che qualcuno si appunta al petto come una medaglia: «pet free». Probabilmente si sarà rivolta a un albergo senza etichetta, con qualche macchia sulle tovaglie, con un filo di polvere sui comodini, con gli asciugamani ruvidi.


Con il suo cane, il suo «pet», al fianco per regalarle una porzione di vita «free», libera dall'inciviltà dell'iper-civilizzazione, dall'ipocrisia del «servizio al cliente». Né soddisfatta, né rimborsata, camminando a testa alta sulle sue sei zampe.

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