Vietato abituarsi a questo orrore in diretta tv

Mai come in guerra il racconto della realtà non può prescindere dalla sua rappresentazione

Vietato abituarsi a questo orrore in diretta tv
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Mai come in guerra il racconto della realtà non può prescindere dalla sua rappresentazione. L'invasione dell'Ucraina ha stravolto il palinsesto della quotidianità, deborda dagli spazi informativi tradizionali e invade gli schermi dei telefonini, mettendoci sotto gli occhi in ogni momento l'atrocità della strage alle porte dell'Europa. Il ritorno di scene che sembravano confinate nello sgabuzzino della storia porta con sé il tragico corollario di qualsiasi conflitto, da sempre: le bombe, i cadaveri per le strade, le città ridotte a cumuli di macerie, la disperazione dei profughi costretti a mollare tutto e fuggire. Ciò che rende questa guerra diversa da tutte le altre, però, è la sua visibilità assoluta e immediata. Lontana anni luce dalla Guerra del Golfo, la prima davvero «in diretta», pur nelle primitive immagini ad infrarosso che turbarono le notti dell'Occidente. E molto distante anche dall'ultimo teatro di instabilità del pianeta, in Afghanistan lo scorso agosto, laddove i social network avevano già svolto un ruolo decisivo nel riportare ciò che stava accadendo. Di quel mosaico narrativo sono rimasti nell'immaginario collettivo soprattutto due scatti: gli oltre 600 cittadini afghani accalcati nel cargo Usa che li salvava dall'inferno; e i talebani in posa, armati fino ai denti, nel palazzo presidenziale di Kabul.

Nella settimana che ha messo l'Ucraina al centro delle attenzioni globali le «copertine» che non potremo dimenticare sono già fin troppe. A cominciare dalle ultime 48 ore: il municipio di Kharkiv sotto la pioggia di missili, la torre della tv di Stato in fumo, l'interminabile colonna di mezzi militari russi in marcia verso Kiev, il coraggio dei civili che si oppongono ai carri armati sventolando una bandiera gialloblù... L'album dei simboli si aggiorna in tempo reale, ogni sera i talk show aprono «finestre live» per documentare come la frontiera del tollerabile si stia spostando ancora più in là. Teorizzava Roland Barthes a proposito del potere delle immagini: «La fotografia è violenta, non perché mostra delle violenze, ma perché ogni volta riempie di forza la vista, e perché in essa niente può sottrarsi e neppure trasformarsi». Quanto abbiamo di più vicino alla verità, perfino nel campo minato della propaganda bellica. Giusto mostrare l'orrore per smuovere le coscienze, ma alla lunga il paradosso è ottenere l'assuefazione all'inaccettabile. Anche per questo il tempo gioca a favore di chi ha innescato la spirale di morte. «Questo non è un film», ha detto il presidente ucraino Zelensky nel suo appello agli Usa.

Nell'era dello streaming l'umana indignazione non può essere «on demand». Dopo due anni di pandemia in lotta contro un nemico invisibile, stavolta è impossibile abituarsi. Vietato restare indifferenti, vietato cambiare canale di fronte all'orrore.

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