Tre anni di abusi, tre anni di silenzio. È successo a Melito, paesino della Calabria, dove una ragazzina dell'età di 13 anni è stata per lungo periodo abusata dal branco, con la connivenza e l'omertà della famiglia che, nonostante sapesse dei ripetuti abusi, ha preferito fare finta di niente: " La rivelazione dei fatti - confessa la madre al giudice - avrebbe provocato un discredito della famiglia e forse avremmo dovuto andare ad abitare in un altro paese".
La madre era venuta a conoscenza delle violenze che la figlia subiva da un brutta copia di un tema lasciato sulla scrivania della cameretta, in cui la ragazzina aveva espresso il suo disagio, chiedendosi come i genitori potessero non capire il suo stato d'animo: " Un giorno la mia professoressa d’Italiano - racconta la bambina ai carabinieri - ci dà un tema dove dovevamo parlare del ruolo che avevano avuto i nostri genitori nella nostra vita…. Ed io che nonostante non abbia detto niente per proteggere anche loro ero arrabbiata con loro perché comunque loro non se ne sono mai accorti di niente… cercavo di essere mai triste, mai arrabbiata… magari mi rendevo attiva in casa aiutavo molto mia madre…. Di giorno in giorno non se ne sono accorti proprio di niente … quindi ero un po’ arrabbiata con loro di questo perché comunque come fai a non accorgertene che tua figlia sta attraversando un periodo difficile, una difficoltà, niente completamente…"
La sera stessa la mamma, dopo aver letto il tema, chiede alla figlia il perchè delle forti parole utilizzate nel compito in classe. E la ragazza, lasciandosi andare, confida tutto alla madre. La quale, però, anche sotto suggerimento del padre, decide di non dire niente, onde evitare di compromettere la reputazione della famiglia nel piccolo paese.
La tragedia ha inzio tre anni fa quando la bambina aveva soli 13 anni. Nell'estate del 2013 la piccola inizia una relazione sentimentale con Giovanni Iamonte, il rampollo di un esponente di spicco della locale cosca della 'ndrangheta. La fragile personalità della ragazza ancora minorenne, però, viene ben presto sopraffatta da quella del giovane che la costringe ad assecondare tutte le sue richieste: tra queste quella di avere rapporti sessuali con un numero sempre più ampio di suoi amici.
La andavano a prendere all'uscita della scuola media Corrado Alvaro. La caricavano in auto fino al cimitero vecchio o sotto il ponte della fiumara o più spesso in una casa in montagna a Pentaditattilo e lì la violentavano, certi giorni anche nove alla volta, a turno e insieme. La tenevano per il polsi e lei inerme non reagiva: " Certe volte li lasciavo fare. Se mi opponevo, dicevano che non ero capace. Mi veniva da piangere. Mi sentivo una merda", racconta la bimba alla psicologa.
Da come emerge nell'ordinanza di 133 pagine firmata dal gip di Reggio Calabria, Barbara Bennato, decisivo - nel far emergere la storia - è stato l'intervento della scuola media. Una delle insegnanti della ragazzina in un interorgatorio dell'ottobre del 2015 rivela: " Dopo aver percepito da alcuni scritti e atteggiamenti della tredicenne un certo disagio ho parlato con la madre la quale mi ha opposto un netto rifiuto quando le ho chiesto se potessi comunicare la notizia all’intero consiglio di classe che avrebbe così potuto attivare i previsti percorsi di legge".
E fa riflettere la chiusura e il poco supporto
che tuttora il paese sta manifestando alla ragazza: sono solo 400 le persone che hanno preso parte alla fiaccolata in suo sostegno, organizzata nei giorni scorsi nella piazza centrale del paese. 400 su 14 mila residenti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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