Con ogni probabilità oggi leggeremo cronache e commenti di tutt'altro tenore, sui giornali che racconteranno la vicenda politica e umana di Jole Santelli. La governatrice scomparsa improvvisamente sarà ricordata anche da chi, fino a ieri, la attaccava spingendosi ben oltre il diritto di critica sul suo operato negli otto mesi esatti alla guida della Calabria. È l'ipocrisia che non ha niente a che vedere con la pietas, con il fair play democratico, con il rispetto dell'avversario anche e a maggior ragione se non la pensa come te. Poi una mattina piomba la morte e imbavaglia per sempre ogni replica. E mette tutti con le spalle al muro.
Basta riavvolgere il nastro ai giorni del lockdown della scorsa primavera, quando va in scena il braccio di ferro tra presidenti delle Regioni e governo centrale. A fine aprile Jole Santelli decide di «sfidare» i Dpcm che avevano efficacia su tutto il territorio nazionale, al di là della reale distribuzione del pericolo a livello locale. La Santelli cerca di ritagliarsi a suo modo un margine di autonomia: con un'ordinanza regionale che riapriva in anticipo sulla tabella di marcia stabilita a Palazzo Chigi bar, agriturismi e altre attività con tavoli all'aperto. In quel periodo - va detto - in Calabria si registrava lo 0,1% di positivi sui tamponi effettuati (percentuale più bassa d'Italia), con le terapie intensive degli ospedali praticamente vuote. Una mossa discutibile, forse azzardata, ad ogni modo in seguito bocciata dal Tar. Ma sui media si scatena comunque il fuoco di fila contro la governatrice calabrese. Dopo Attilio Fontana in Lombardia, a molti non sembrava vero di trovare un nuovo obiettivo da affondare. Era il momento in cui si sprecavano le uscite a effetto sui «lanciafiamme» e i «cinghialoni in tuta», eppure la Santelli non può sfuggire all'equazione che ispira la presunta superiorità morale della sinistra: se chi è al potere è di centrodestra, non c'è pandemia che tenga, va massacrato a senso unico. Se poi è una donna, allora bingo.
Gli attacchi, dalle questioni di merito, sfociano presto negli insulti alla persona. Jole in quei giorni turbolenti finisce nel tritacarne del Fatto Quotidiano. «Vittoria di Pirla. Il Tar ferma la Calabria sui bar. Ma la Santelli non arretra: È una vittoria di Pirro. Con la mia ordinanza ho aperto il dibattito. Non ho avuto suggeritori (Corriere della Sera). Le cazzate sono solo sue e se ne vanta» (così Marco Travaglio sul Fatto dell'11 maggio). Anche Selvaggia Lucarelli aggiunge il carico: «L'Emiliano Zapata del Dpcm (...) chissà quanto era convinta di strappare consensi, di trascinare le folle in strada, di guidare la rivoluzione del cappuccino... I cittadini calabresi le hanno detto: Questa ha sniffato il reagente per i tamponi». E via dileggiando.
Il meccanismo è oliato. Si comincia avvelenando i pozzi. Quindi la marea inonda i social: mi piace, commenta, condividi, inoltra il meme che irride. Non ci si ferma nemmeno davanti alla malattia. Perfino adesso, nell'ora del silenzio e del cordoglio, gli odiatori da tastiera restano in servizio permanente effettivo: «Se lo merita...», «Ma scusate, era malata da tempo e si era candidata a presidente di Regione? Bel senso civico...». Pure il coraggio diventa motivo di sciacallaggio.
Un politico quando sbaglia, perché compie delle scelte, deve essere giudicato. Altra cosa è la gogna mediatica.
Jole Santelli, in uno dei suoi ultimi post su Facebook, in fondo ha già risposto ai messaggeri dell'odio: «Che pena quando la lotta politica si riduce al pettegolezzo più becero!». Ma c'è il fondato sospetto che nemmeno stavolta impareranno la lezione.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.