Ormai è una vicenda che non suscita tanto indignazione quanto fastidio. La Procura di Firenze - la più politicizzata del Belpaese - ha ritirato in ballo Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri per le stragi di mafia secondo un teorema ricco di congetture ma di nessuna prova. L'indagine dei magistrati che è già sfociata in un avviso di garanzia per Dell'Utri e in una perquisizione della sua casa (per sequestrare le lettere private tra lui e il Cav) ha una struttura più simile al soggetto di una fiction, si tratti della Piovra o Gomorra, che non alla più scalcagnata delle iniziative giudiziarie. La «tesi» - folle per usare un eufemismo - insinua che quelle vicende sanguinose facevano parte di un piano di Cosa Nostra per screditare il governo Ciampi e aprire la strada all'avvento di Silvio Berlusconi.
Ora, chiunque abbia vissuto o studiato quegli anni che ormai appartengono alla Storia, saprebbe che quando sono cominciate le stragi il Cav non era per nulla convinto di entrare in politica. Pregava un giorno sì e un altro pure Mario Segni e Mino Martinazzoli affinché organizzassero un'alleanza contro la sinistra. Le stragi dal punto di vista temporale non potevano avere nessuna relazione con la sua decisione - assunta malvolentieri come unica «ratio» - di gettarsi nell'agone. Anche l'attentato fallito (in realtà fu un avvertimento della mafia per dimostrare di cosa fosse capace) rientrava nella strategia delle cosche mafiose per perseguire l'unico obiettivo che in quella fase avevano in mente: attenuare il regime di 41 bis in carcere. Sono tutti elementi che le toghe di Firenze dovrebbero sapere visto che sono stati appurati in altri processi se non vogliono meritarsi un roboante «zero» in Storia.
Il resto è fuffa. Com'è fuffa la narrazione che la Procura di Firenze ha tentato di imbastire attorno alla figura di Salvatore Baiardo (personaggio che ha la stessa credibilità di un soldo bucato), alla foto inventata di Berlusconi con i Graviano e ad altre amenità da fumettone mafioso. L'unica verità in questa storiaccia giudiziaria - non potrebbe essere definita altrimenti - che si basa su un canovaccio ormai stantio, è che c'è un pezzo di magistratura che vuole sporcare la memoria di Silvio Berlusconi e con lui l'immagine di Forza Italia e del centrodestra nel presente. Un maldestro tentativo di «damnatio memoriae» che porta dieci giorni fa la Procura di Milano a ricorrere in Cassazione nel processo Ruby ter e ora alla reiterazione della solita fantasia sulle stragi di mafia da parte di quella di Firenze. Iniziative diverse dietro le quali solo un cieco non vede un'unica regia perché il movente delle inchieste, purtroppo, è solo politico, condito, ovviamente, dal protagonismo esasperato (e dal narcisismo ideologico) che anima certe Procure. Una patologia giudiziaria che fa perdere il senso del limite, che non ha rispetto neppure per i morti. E che, appunto, non suscita non solo indignazione ma pure fastidio, nausea.
Per cui non deve stupire che il capo della Procura di Palermo, De Lucia, sia disponibile oggi a rivedere il reato di concorso esterno in associazione mafiosa e che il leader di Magistratura indipendente, Piraino, apra la porta al ritorno dell'immunità parlamentare per restaurare l'equilibrio tra i Poteri. I tempi cambiano e il troppo storpia anche in magistratura: solo le toghe rosse restano sempre uguali a se stesse.
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