Diciotto-sessantuno, una cantina con cucina fusion

Il nuovo locale aperto da Luca Pedinotti in zona Susa a Milano mette il cibo e il vino allo stesso livello. La bottiglieria è promettente ma ancora in costruzione, il cibo invece ha già una sua precisa identità e unisce ispirazioni e tecniche giapponese a ingredienti italiani: come nel Gyoza con battuta di vitello e negli uramaki fusion. Ma il piatto della serata è stato un sorprendente gazpacho

Diciotto-sessantuno, una cantina con cucina fusion
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Non ci sperate. Non potete chiamarlo 1861 in cifre, bensì Diciotto- Sessantuno. Così preferisce il patròn Luca Pedinotti, uno che nella scena della notte milanese qualche esperienza ce l’ha. C’è lui dietro questa nuova enoteca con cucina in via Sidoli, angolo via Goldoni, in zona Susa, con cui ritorna prepotentemente alla carica. Il locale è interessante, ci sono idee che promettono bene, qualche dettaglio va certamente messo a punto ma la mia esperienza è stata positiva e lo racconto molto volentieri.

Intanto il nome: 18-61 vuole essere un omaggio all’anno in cui è nato l’Italia, per dare il senso di un posto che vuole unificare il nostro Paese sotto la sua insegna sia a livello gastronomico sia a livello enologico. Già, perché l’idea è quella di un locale in cui le bottiglie e i piatti hanno pari dignità e i secondi possono essere scelti in funzione delle prime e non necessariamente al contrario, come usa fare. Luca aveva voglia di rimettersi in gioco nella gastronomia dopo la stimolante esperienze al Lumen di Luigi Taglienti, uno dei ristoranti che ha contrassegnato la scena fine dining milanese nell’ultimo decennio. La cucina è affidata al bengalese Ali Imran, che a sua volta ha lavorato per un paio di lustri al Finger’s di Roberto Okabe, un giappo-brasiliano che ha richiamato folle di “foodie” entusiasti. Insomma, i presupposti sono piuttosto promettenti, anche se ho notato con piacere una voglia di muoversi con prudenza, passo dopo passo, in contrasto con la tendenza meneghina degli ultimi tempi di fare subito “boom” (per poi magare scomparire).

Il menu risente di una certa ispirazione nipponica, che si fonde con elementi della tradizione milanese. Buonissima la partenza con gli antipasti: in particolare il Gazpacho andaluso (servito con coriandolo e pane nero delle Alpi) non sfigurerebbe sulle tavole di Spagna. Denso, saporito, piacevolmente acido. Forse il piatto migliore della serata. L’altra entrée è stato un Carpaccio di zucchine marinato con yuzu, mentuccia e salsa ponzu, delicato e fresco. Non all’altezza dell’altro ma comunque piacevole.

Entro nel vivo: dapprima un buon Carpaccio di mare in salsa ponzu con tonno mediterraneo, ricciola giapponese e salmone norvegese (Luca medita di poter proporre un giorno quello neozelandese, considerato il migliore del mondo, ma ogni cosa a suo tempo). Quindi una Tartare di ricciola giapponese con basilico, pomodori secchi e nocciola di grande pulizia. Quindi uno dei piatti che simboleggia lo spirito del locale, l’incontro tra Milano e Tokyo: un Gyoza (il tipico raviolo e spesso giapponese) con dentro una battuta di vitello, impasto classico cotto in acqua e zafferano e della salsa chirashi piccante. Un buon risultato anche se l’interno del gyoza avrebbe meritato una scudisciata di sapidità in più. Poi arrivano in tavola gli Uramaki, che sono pensati anch’essi come un cross-over culturale. Il primo è l’Ebiten crispy, con gambero in tempura, salmone, maionese, tanuki, avocado e salmone, il secondo il 1861 Maki con vitello in tempura, tartare di fassona e stracciatella. Sarebbe magnifico se l’impanatura del vitello non rendesse complessa la masticazione. Chiusura in grande con la Picanha di wagyu A5 alla plancia con verdure. Il reparto dei dolci è un cantiere, è in costruzione, ma il Tiramisù da me assaggiato era ottimamente fatto.

La carta dei vini è interessante, anche se anch’essa andrà implementata.

Una vera sorpresa è invece la ricca carta dei caffè, da veri appassionati, con diverse monorigini da diverse parti del mondo e chicche come il Blue Mountain giamaicano, il Sidamo etiope e addirittura il Kopi Luwak indonesiano e il Jacu Bird dal Brasile. Un segnale delle ambizioni di questo locale.

Si mangia con 50/60 euro (vini esclusi). In via Goldoni angolo via Sodoli. Tel. 3757471034, aperto solo la sera, chiuso la domenica

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