Da Giacomo, il cuore di Milano

La storica insegna, aperta nel 1958 da Bulleri in via Donizetti e dal 1989 in via Sottocorno, conserva la sua atmosfera vecchio stile piacevole ed elegante e propone una cucina prevalentemente di mare che vanta una materia prima di notevole qualità. Ed è il centro di un sistema ormai composto da una decina di locali non solo nel capoluogo lombardo

Da Giacomo, il cuore di Milano

Un naso lungo come una discesa, un baffo antico, uno sguardo malinconico. È la caricatura di Giacomo Bulleri, che l’anno prossimo avrebbe fatto cento anni, se non ci avesse lasciato nel 2019, e che figura sul menu dei suoi locali. Giacomo, toscano di Collodi (il paese che ha dato il nome all’inventore di Pinocchio), si trasferisce dapprima a Torino e poi a Milano, dove nel 1958 apre la prima trattoria Da Giacomo in via Donizetti. Da allora tanta acqua è passata sotto i ponti e tanta focaccia in teglia è stata consumata dai clienti dell’insegna, che vanta numerosi outlet: il ristorante storico Da Giacomo, dal 1989 trasferitosi al numero 6 di via Sottocorno, e considerato Locale Storico dal comune di Milano, e poi Giacomo Bistrot e Giacomo Pasticceria nella stessa strada a due passi da piazza Cinque Giornate, quindi Da Giacomo Arengario con vista sul Duomo, quindi ancora Giacomo Caffè Letterario, Giacomo Tabaccheria, Giacomo Rosticceria, Giacomo Rosticceria e i locali fuori Milano, Da Giacomo a Pietrasanta, che segnò il ristorno di Bulleri nella sua Toscana proprio pochi mesi prima della sua morte, e poi lo sbarco nell’hotellerie, con Da Giacomo al Lago all’interno del Grand Hotel Tramezzo sul lago di Como e Da Giacomo al Salviatino nell’omonimo hotel a Fiesole, sulla collina che guarda Firenze.

Un piccolo impero del gusto e del buon gusto. Io però oggi vi racconto il locale storico, Da Giacomo in via Sottocorno 6, che da 35 anni rappresenta la scatola nera del sistema Bulleri (anche se nel frattempo la proprietà del gruppo è passata alla famiglia Rovati). Ci sono stato in una serata afosa di quasi Ferragosto e – prima notizia – letteralmente non c’era un centimetro libero: il mio tavolo era in preparazione e mi hanno chiesto di accomodarmi al bancone bar che però era 1) irraggiungibile e 2) strapieno. Buon segno, decisamente, in giorni in cui Milano è vuota come il bicchiere di un ubriacone.

Il locale è bello in modo old style: qualche anno fa sarebbe stato piacevolmente fané, oggi invece è praticamente di suo quello che molti locali sognano di essere con l’aiuto di architetti e designer: che poi lo zampino di un architetto c’è anche qui ed è Renzo Mongiardino, appassionato della cucina di Bulleri che, quando quest’ultimo fu sfrattato dal proprietario delle mura del locale di via Donizetti, era talmente preoccupato di non poter più mangiare alla sua tavola che si propose di trovargli una nuova sede e di arredargliela. Il risultato è un luogo classico giocato sui toni di un verde antico riposante e seducente. Il resto è fatto di dettagli molto curati: belle sedie di legno, tavoli perfettamente apparecchiati (in un’epoca in cui la tovaglia è caduta in disgrazie quasi ovunque), un servizio con la misura dei vecchi tempi (bravissimo il direttore di sala Federico Recrosio).

La carta si tiene lontana da certe divagazioni avanguardiste ed è come poteva essere una carta degli anni Ottanta (è un complimento). Si gioca soprattutto sul pesce, la materia prima è di elevatissimo livello e si capisce soprattutto nei crudi, che profumano di fresco. Io ho provato, dopo un assaggio della pizza storica, una margherita in teglia con capperi e acciughe (che Giacomo a suo tempo stendeva personalmente servendosi di una bottiglia) un assortimento di crudi: tartare di tonno, tartare di scampo, gambero gobbetto, tartare di gambero alla catalana, carpaccio di ricciola, ciascun episodio differentemente condito (in modo molto delicato, vedasi il gel di amaretto di Saronno e mandorle tostate dello scampo) e con delle salse di accompagnamento con cui si può moderatamente giocare nelle combinazioni: il consiglio però è di evitare di pasticciare troppo concentrandosi invece sulla materia prima.

Poi la Granseola alla veneziana, cotta al vapore, sgranata a mano, condita con olio, limone e jalapeno e servita nel suo carapace su un letto di insalata: eleganza pura. Quindi un primo, il Tortello cacio e pepe con una tartare di gambero rosso di Mazara del Vallo, polvere di bottarga di muggine, scorza di lime e salsa di burro. Si tratta di un piatto superclassico di Giacomo, che si può trovare realizzato con la stessa cura in molti dei locali sopraelencati. Io l’ho trovato piacevolissimo salvo il fatto che da romano non approvo la presenza forte del burro. Ma sono gusti personali. Infine una pezzogna cotta al forno e accompagnata da una salsa di pomodoro, pomodorino confit, oliva taggiasca, zucchine, capperi e basilico. Una interpretazione arricchita dell’acqua pazza che punta su un sapore pieno senza però sacrificare la purezza della pezzogna, che ho visto prima della cottura, parlandone da viva. Chiusura con i dolci: due assaggi di classici modernizzati: una Millefoglie con crema chantilly e frutti di bosco e una Tartelletta al limone con cremoso al limone e una meringa all’italiana leggermente scottata. Esemplari.

La carta dei vini è ricca di referenze solide ma con qualche divagazione verso l’enologia meno convenzionale (non me lo aspettavo). Chi vuole può bere un drink ben fatto che arriva dal bancone bar che forse potrebbe essere sfruttato di più. Del servizio piacevole ed elegante ho detto. Il conto per chi prende un antipasto, un primo o un secondo e un dolce si aggira sui 75 euro ma può variare di molto in funzione delle scelte.

Il bere è a parte, ovviamente, e anche quello può cambiare la cifra, ma non sono cose che vi devo insegnare.

Ah: Da Giacomo sarà aperto sempre in questo agosto feroce. Tutti i giorni a pranzo e a cena. Come sempre, del resto. E potrebbe essere la vostra prossima oasi.

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