I “fine wines” italiani volano, soprattutto all’estero

Ricerca di Nomisma-Wine Monitor per l’Istituto Grandi Marchi, che raccoglie diciotto tra le più prestigiose famiglie del vino italiano: il fatturato in vent’anni è raddoppiato, raggiungendo i 660 milioni, e l’export è sempre più forte, soprattutto negli Stati Uniti, dove i consumatori associano le nostre etichette a concetti di classe ed eleganza

I “fine wines” italiani volano, soprattutto all’estero
00:00 00:00

Volano i grandi marchi del vino italiano. In venti anni le diciotto aziende associate all’Istituto Grandi Marchi hanno visto raddoppiare il proprio fatturato in vent’anni, con una crescita importante soprattutto sui mercati internazionali. E’ quanto si evince dalla ricerca commissionata dall’Istituto Grandi Marchi e realizzata da Nomisma-Wine Monitor e presentata a Milano a Terrazza Palestro in occasione del ventesimo anniversario dell’istituto che riunisce alcune delle famiglie più prestigiose del vino italiano, impegnate a promuovere la qualità e la tradizione enologica nel mondo. Le aziende aderenti all’istituto sono Ambrogio e Giovanni Folonari Tenute, Antinori, Argiolas, Ca’ del Bosco, Carpenè Malvolti, Col D’Orcia, Donnafugata, Jermann, Lungarotti, Masi, Mastroberardino, Michele Chiarlo, Pio Cesare, Rivera, Tasca D’Almerita, Tenuta San Guido, Tenuta San Leonardo, Umani Ronchi.

Il loro valore aggregato è di 660 milioni di euro, di cui oltre il 55 per cento proveniente dall’export. Secondo la ricerca, il 70 per cento del fatturato estero delle aziende associate è proveniente da mercati al di fuori dell'Unione Europea, con una crescita imponente nei mercati asiatici che hanno visto aumentare gli acquisti di vini oltre il 130% negli ultimi vent’anni, e negli Stati Uniti, che si confermano il principale mercato di destinazione per i “fine wines” italiani, dove nel 2024 si è registrato un aumento delle importazioni dall’Italia del 5 per cento in valore per i vini fermi imbottigliati e del 10 per cento per gli spumanti, in controtendenza alla media del mercato che vede in leggera diminuzione gli acquisti dall’estero.

“Al di là dei dati specifici, di indubbio interesse per l’intero movimento del vino - commenta Piero Mastroberardino, Presidente IGM - ciò che più conta e ci lusinga è registrare la crescita del peso dei fattori immateriali legati alla percezione del nostro mondo, nella considerazione dei consumatori di mercati importanti per valori e per volumi, come ad esempio gli Stati Uniti d’America. I vini di pregio forniscono un contributo chiave all’immagine che gli stili di vita tipici della cultura italiana occupano nella mente del pubblico. Tale immagine si lega intimamente con i valori positivi trasmessi dalla storicità, continuità, coerenza qualitativa delle imprese familiari multigenerazionali che si ergono a custodi delle radici dei propri territori”.

Il consumatore di “fine wines” italiani si distingue per un forte legame con l'Italia, che si esprime attraverso origini italiane o esperienze dirette nel nostro Paese, come visite recenti. Questo elemento gioca un ruolo fondamentale nella valorizzazione dei “fine wines” italiani sul mercato statunitense, dove la scelta di questi vini è influenzata principalmente da tre fattori: notorietà del brand, riconoscimenti ottenuti nelle guide di settore e l’unicità delle aziende a gestione familiare. Quest’ultimo elemento risulta particolarmente rilevante per i millennials, con il 16 per cento che lo considera un aspetto determinante, rispetto all’11 della media generale. Lo studio ha anche analizzato i comportamenti di 2.400 consumatori statunitensi di vino, il 30 per cento dei quali si definisce un vero appassionato di “fine wines”: e quelli italiani sono stati, dopo quelli statunitensi, i più consumati dagli americani nell’ultimo anno, grazie alla loro crescente reputazione. Il 27 per cento dei consumatori americani infatti associa ai “fine wines” italiani concetti di classe ed eleganza, fino a qualche tempo fa appannaggio per lo più dei vini francesi. E questo molto è legato all’idea del business familiare e di eredità culturale che identifica l’Italia. Non solo: il 76 per cento degli intervistati si dichiara interessato a provarli, ciò che mostra ulteriori fattori di crescita in futuro. “Le potenzialità di crescita sul mercato americano per i fine wines italiani sono concrete – fa notare Denis Pantini, responsabile Nomisma Wine Monitor -.

Non solo perché si assiste da tempo a una “premiumizzazione” dei consumi di vino, ma anche perché il 44 per cento dei consumatori statunitensi intervistati prevede di aumentarne l’acquisto nei prossimi tre anni, contro un 50 per cento che ritiene di mantenerli invariati e solo un 6 che invece pensa di diminuirli”.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica