La Piedigrotta, la pizza come non l'avete mai vista

In questo locale di Varese, che quest’anno festeggia cinquant’anni, il patròn Antonello Cioffi propone infinite versioni del piatto più famoso del mondo, che si trasforma in sushi, in tagliolino, in pacchero, in bun, in cozza, in brioche, perfino in "spinello". Tantissime trovate ma anche un’altissima qualità degli ingredienti. E il plus di una cantina da ristorante stellato

La Piedigrotta, la pizza come non l'avete mai vista
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Tutto quello che non avete mai osato chiedere alla pizza (e anche qualcosa che non avete osato osare) potreste finire per ottenerlo in una singolare pizzeria di (rudite udite) Varese. Un locale aperto cinquant’anni fa dall’”esule” della Costiera Amalfitana Gaetano Cioffi per ricreare i sapori della sua terra e oggi gestita dal figlio Antonello, che ha conservato le ispirazioni paterne dando al locale un’ambizione davvero sconfinata. Se questo posto non fosse a Varese ma si trovasse a Milano sarebbe un locale sulla bocca di tutti. Ma se fosse a Milano e non a Varese non sarebbe La Piedigrotta.

Andiamo con ordine. La Piedigrotta è una pizzeria dove la materia prima viene trattata con grande attenzione. Farine biologiche selezionate, lievito madre, sale iodato, ingredienti di alta qualità, molti dei quali arrivano dalla Puglia, terra di origine della moglie di Antonello, Daniela: pesce, latticini, salumi. Chi vuole può limitarsi alle pizze tradizionali, lavorate alla napoletana, con cornicione turgido e buona texture, con l’obiettivo di un’alta digeribilità: la Margherita è un’ossessione di Antonello, che da tempo medita su una degustazione dedicata solo alla pizza-base. Per ora ci sono la versione scomposta con un bicchiere di bocconcini di panna di Andria (quella dei bicchierini posti al centro della pizza è una delle tante peculiarità di questo locale) e diverse versioni che dalla margherita partono (la Reginella, la Bufalina, la Verace). Poi pare che siano imperdibili la Don Antonio, con provola affumicata di Andria, pinoli tostati, zucca violino e uvetta, finocchietto, grana gratinato e basilico e la Cantabrica con una scatolina di acciughe e burrata cruda.

Scrivo “pare” perché io le pizze tradizionali non le ho assaggiate (ma lo farò presto) ma mi sono fatto convincere da Antonello – facilmente, va detto – a provare uno dei menu degustazione, 55 euro per quattro portate, 75 per sei. Anzi, io ho fatto una versione extralarge, e ho perso il conto di quante portate ho assaggiato. Ognuna rappresenta un’idea, una provocazione, ognuna porta la pizza in territori che non aveva mai visitato, qualche volta con esiti piacevoli ma estemporanei, altre, la più parte, con trovate davvero geniali. La prima è una pizza fritta con stracciatella di Andria, pomodoro confit tombolino del Salento e zest di arancia che si limita a essere un omaggio (buonissimo) allo street food per eccellenza di Napoli. Poi una pizza croccantissima fatta asciugare per 24/48 ore dietro al forno, in due versioni: con diverse consistenze di verdure e con cime di rapa e acciughe. Poi la pizza diventa, di seguito: pasta tagliata a listarelle e condita alla ligure con basilico, spuma di patata, fagiolini sbianchiti e bruciati e menta: sushi grazie a piccoli roll di pizza ai semi di papavero riempiti di pesce crudo a ricreare l’umami orientale, prosciutto crudo di maiale nero di Faeto a cercare l’umami padano, e la margherita a cercare il sapore e basta; un pacchero alla Cannavacciuolo con tonno crudo, menta e frutto del cappero; una cozza grazie al nero di seppia nell’impasto (e dentro una zuppetta di cozza); il bun di un hot dig realizzato con il cornicione (riempito di salsiccia di pomodoro e bufala affumicata); un uovo al tegamino con un pomodorino giallo a simulare il tuorlo e del prosciutto reso croccantissimo; il pane di un hamburger in un micro-panuozzo di Sorrento con salsiccia di Locorotondo, senape e insalata iceberg; una brioche da intingere in un cappuccino di parmigiano; la base di un Cuba Libre con finto pomodorino agli agrumi, ristretto di coca biologica, zest di limone fermentato; perfino uno “spinello” con crema chantill, pomodoro confettura e basilico.

Una meraviglia, piacere e divertimento a braccetto. La fortuna, sua e dei clienti, è che Antonello in pizzeria non va mai, mi confessa, preferisce se ha una sera andare al ristorante e quindi non si fa contaminare dalle mode della pizza gourmet. Il suo sguardo rimane puro, alimentato esclusivamente dai suoi pensieri e dalla sua voglia di sperimentare.

E quindi tocca venire a Varese (in via Giandomenico Romagnosi al numero 9) per provare questa esperienza impareggiabile. Ceeto non veniteci di lunedì, perché trovate chiuso. E magari non venite se non avete sede. Perché la Piedigrotta ha un’altra caratteristica inconsueta per una pizzeria: ha una cantina da grande ristorante per chi non voglia accontentarsi di una birra (della quale c’è comunque un discreto assortimento).

Antonello è anche un appassionato di Champagne, in particolare di Krug, di cui è “ambassador” (unica pizzeria al mondo a vantare questo privilegio) e non è inconsueto veder sbocciare una bottiglia da tre zeri a un tavolo. Magari non sarete voi, ma magari sì (ve lo auguro).

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