ScottoJonno, quasi un “café chantant”

ScottoJonno, la bottiglieria
ScottoJonno, la bottiglieria

Il bar aperto nel 2023 nella Galleria Principe di Napoli rinverdisce i fasti di quello che fu uno degli epicentri della vita artistica e culturale del capoluogo campano. Oggi è uno spazio affascinante, con i drink “filologici” di Leandro Ruggiero (e la consulenza di Dom Carella) e al primo piano il ristorante Sustànza di chef Marco Ambrosino

Ok, ScottoJonno a Napoli può essere solo un bar con dei buoni (ottimi) drink. Ma il fatto è che ScottoJonno non è un semplice bar. E’ un luogo carico di passato e di presente e da quello che capisco anche di futuro. Il bar ha aperto nel 2023 nella Galleria Principe di Napoli, costruita tra il 1873 e il 1883 nel pieno centro della città, sul miglio d’oro della cultura che unisce idealmente Palazzo Reale e Capodimonte, dove i vicini di casa sono il MANN (Museo Archeologico Nazionale di Napoli) e l’Accademia di Belle Arti. Eppure questa galleria è stata per decenni un buco nero: chiusa, maledetta, un ricovero per tossici e senzatetto. Poi l’impegno dell’imprenditore Luca Iannuzzi ha restituito a Napoli quello che un tempo è stato un café chantant, e poi la tesoreria del Banco di Napoli. Un bar con bistrot al piano terra, un ristorante al primo piano, Sustànza, del bravo chef procidano Marco Ambrosino, di cui parlerò nei prossimi giorni. A questo progetto ne sono seguiti altri, e oggi la Galleria Principe di Napoli sta ritrovando vita, con luoghi dalla forte valenza sociale che portano in galleria la parte più sana della città.

ScottoJonno, il bar manager Leandro
ScottoJonno, il bar manager Leandro

Ma torniamo a ScottoJonno. Il nome stesso è un omaggio a Vincenzo Scotto Jonno, che fu proprietario di quello che all’epoca era un ritrovo per artisti, politici e letterati, quando Napoli era la più parigina delle città del Regno d’Italia. Poi la chiusura, il cambio di epoca e di stagione politica, il café chantant che diventa Tesoreria Comunale del Banco di Napoli, trasfigurando la sua bellezza originaria. Fino al 2021, quando inizia il delicato lavoro di recupero della vecchia identità degli spazi. Oggi si entra attraverso un monumentale portone in legno ottocentesco e ci si ritrova in una sorta di caffè letterario in cui si mischiano con grande disinvoltura elementi differenti, l’art déco, un po’ di opulenza ottocentesca, qualche tocco pop, i muri scrostati a fare da scenario. Tutto frutto di un progetto di restauro conservativo curato in ogni dettaglio dall’artista Eugenio Tibaldi, che ha disegnato pezzi su misura e setacciato rigattieri e mercatini di tutta Europa per acquistare pezzi di arredo originali d’epoca.

Al piano terra, il bar e il bistrot. La miscelazione è a cura di Domenico “Dom” Carella, origini lucane, già patròn e bartender di Carico e Ultra a Milano. Il suo marchio di fabbrica sono drink puliti e verticali, che ha portato anche a Napoli, dove il bar manager Leandro Ruggiero è chiamato a mettere nel bicchiere la Napoli che fu, a cui è dedicata un’apposita sezione della carta dei drink: San Gennaro è a base gin con mirtilli lattofermentati, bitter, vermouth di melograno e burro di bufala. La Strega del Vesuvio, che io ho provato, è a base scotch whisky e gin, con cordiale di pomodorini del Piennolo e sedano, liquore al caffè e soda al tagete, dalla forte spinta umani. La Rivolta di Masaniello è a base Fino Sherry, vermouth rosso, distillato di crusca bruciata e frutta e chipotle.

Importante ed evidente il lavoro in laboratorio per realizzare cordiali, sode aromatizzate, ridistillati con elementi aromatici e ingredienti del territorio oppure di ricerca. Notevoli anche i classici (è da questi che si vede un grande bar), suddivisi tra italiani nella carta Patria&Futurismo, nella quale ogni drink ha evidenziato il suo anno di nascita, come Negroni (1919), Americano (1935), Giostra d’Alcol (1932), il Garibaldi (1861) e gli internazionali come Pisco Sour (1903), Tom Collinsa (1876) e Old Fashioned (1917). In alcuni casi gli evergreen sono rivtalizzati da un tocco maison, come nello ScottoJonno Gibson con la papaccella napoletana (peperone locale presidio Slow Food) e il Bloody Mary by S.J. realizzato in collaborazione con lo chef Ambrosino, con mezcal, pomodoro bruciato e chipotle. Punto importante: ai mocktail, senza alcol, è dedicata la stessa attenzione riservata ai drink canonici.

ScottoJonno è anche palcoscenico per spettacoli di musica dal vivo, presentazione di libri o performance, a rinverdire lo spirito fin de siècle. Uno spazio è dedicato alla biblioteca diffusa con 1.800 volumi (enciclopedie, dizionari e romanzi) gratuitamente consultabili e catalogati in una App (ScottoJonno) che racconta la storia di Napoli attraverso i suoi misteri.

Un luogo che “dopo oltre un secolo si presenta come luogo polifunzionale di cultura, di intrattenimento e di arte; un progetto ambizioso e complesso che vuole innovare ancorandosi alla conservazione ed alla tradizione, in sintonia con la mia personale visione e passione per Napoli e la sua storia, favorendo anche l’apertura a nuove culture”, come dice Iannuzzi.

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