Sabato il Giornale ha pubblicato un lungo reportage di Luigi Mascheroni da Predappio. Nella città natale di Benito Mussolini il sindaco Giorgio Frassineti, del Pd, vorrebbe trasformare la Casa del Fascio (bellissima ma abbandonata da anni) in un museo del Fascismo: sarebbe il primo in Italia. L'idea è sottrarre la città del Duce ai pellegrinaggi dei nostalgici e istituire un museo per cercare di capire che cosa fu davvero l'Italia fascista. Sul tema nei giorni scorsi sono intervenuti gli storici Roberto Chiarini, Nicholas Farrell e Francesco Perfetti. Oggi abbiamo intervistato Luciano Canfora.
La proposta del sindaco di Predappio Giorgio Frassineti, Pd di area renziana, di trasformare la Casa del Fascio della città natale del Duce in un museo del Ventennio sembra dividere - come era prevedibile - gli storici. È un'idea che convince ad esempio Roberto Chiarini, che sta lavorando anche a un percorso museale sulla Rsi a Salò, ma non Francesco Perfetti, il quale ha sottolineato i rischi di una celebrazione del Fascismo.
E cosa pensa invece Luciano Canfora, da storico della sinistra? Un museo del genere perpetuerebbe o aiuterebbe a superare le divisioni ideologiche?
«Veramente altri sindaci di Predappio, penso a Ivo Marcelli, sempre di sinistra, si sono posti in passato il problema di valorizzare l'origine mussolinana della città. E non mi stupisce che l'amministrazione comunale voglia in qualche modo incanalare il fenomeno della processione nostalgico-mistica a Predappio, che certo costituisce un problema...».
Però...
«Però quando accadde una cosa simile, nel 1999 - allora si pensava a un riuso della casa natale di Mussolini - la proposta fu inquadrata polemicamente nel più generale fenomeno del revisionismo storiografico. Un concetto ambivalente, perché tutta l'attività storiografica è una revisione alla luce di nuovi documenti e del mutare col tempo della nostra mentalità... Come diceva Benedetto Croce, la Storia è sempre contemporanea, e la ripensiamo secondo l'esperienza del presente. Insomma, posso capire che i giornali e i politici, in quel momento, ponessero il problema della rilettura del fascismo. Ma oggi la questione mi sembra meno interessante, perché il revisionismo storiografico, in quel senso, ormai è entrato nelle corde di ogni storico serio».
Insomma, una proposta del genere oggi non ha senso?
«Ne ha poco. Io credo che una mostra temporanea, come quella ospitata ora nella Casa natale, se basata su documenti accertati e con una supervisione di storici riconosciuti, va bene: valorizzare il periodo, molto interessante, del Mussolini socialista, serve a tutti, anche agli storici antifascisti. Leonardo Rapone, nel suo saggio del 2011 Cinque anni che paiono secoli sul passaggio di Antonio Gramsci dal socialismo al comunismo, dal 1914 al 1919, ha sottolineato la grande attenzione che Gramsci ebbe per Mussolini, da quando era un leader socialista fino alla direzione del Popolo d'Italia. Quindi ben venga una mostra del genere, perché è un periodo a lungo rimosso...».
Però un museo è troppo.
«Guardi, veramente, in me la cosa suscita molte perplessità. Che senso ha un museo? Il museo dà un'idea di staticità, un luogo in cui i pezzi vengono accolti per il loro valore simbolico... Il fascismo è un momento della storia d'Italia: monumentalizzarlo in modo isolato non mi pare un procedimento critico, ma enfatico, addirittura celebrativo. No, non mi sembra una scelta felice».
Francesco Perfetti su queste pagine, ieri, ha detto la stessa cosa, e proponeva semmai un Museo dell'Identità nazionale.
«Ma anche questa idea non mi entusiasma. Già solo il concetto, molto sfuggente, di identità nazionale esigerebbe una trattazione specifica. Quando comincia l'identità nazionale, per l'Italia? Con Odoacre, con Machiavelli, con Dante? Croce fa iniziare la sua Storia d'Italia dal 187l, e già la cosa suscitò discussioni. La Storia d'Italia dell'Einaudi parte invece dal 476 d.C., con la deposizione di Romolo Augustolo... Anche solo fissare una data di inizio dell'identità nazionale è arrischiato».
Quindi: cosa facciamo della Casa del Fascio? La lasciamo così, abbandonata?
«Facciamone una biblioteca completa sulla storia del fascismo. Perché no? C'è una produzione di studi sterminata e continua su questo periodo storico, anche fuori d'Italia, in Francia o in Germania. Pensiamo oltretutto alle dissertazioni di laurea e dottorato... Una biblioteca così sarebbe utilissima. Un museo del Fascismo a cosa serve?».
Magari a spazzare via gadget e nostalgismo...
«Ma no. Sarebbe sempre qualcosa di ibrido tra celebrazione e mummificazione».
E per farla finita con la fascisteria dei pellegrinaggi della memoria, cosa serve?
«Non c'è alcuna ricetta. Solo il tempo».
E quanto dovremo ancora aspettare per parlare del fascismo senza celebrazioni col braccio teso a destra, o dimenticanze a sinistra?
«Un giorno, siamo negli anni Cinquanta, chiesero a Zhou Enlai, fedele compagno di lotta di Mao Zedong e autorevole ministro degli Esteri cinese, un giudizio sulla Rivoluzione francese. Ci pensò un attimo, e poi rispose: Mah, è un po' presto.... Una battuta, certo, ma non aveva tutti i torti se pensiamo che non molti anni fa, nel bicentenario del 1789, tante certezze su quell'evento fondamentale per l'umanità sono state messe in crisi».
Bisogna aspettare.
«In quasi tutte le famiglie italiane si tramandano ancora valori e prese
di posizione contrapposte riguardo il fascismo. In molti hanno un parente morto per mano dei fascisti o degli antifascisti... Sì, bisogna aspettare. Fino a quando sopravviveranno elementi emotivi e passionali così forti».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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