Il premio Croce? Va solo ai marxisti

Ieri sera l'assegnazione del riconoscimento a Pescasseroli. Lo vincono gramsciani, consulenti dei No Tav, ex di Lotta Continua. Tutti tranne i pensatori liberali

Il premio Croce? Va solo ai marxisti

Il miglior requisito (accademico) per vincere il premio «Benedetto Croce»? Essere marxisti. O almeno gramsciani. Comunque, il meno liberali possibili.
Ieri a Pescasseroli, paese di nascita del filosofo, è andata in scena la serata finale dell'VIII edizione del Premio nazionale di Cultura intitolato a Benedetto Croce, il principale ideologo del liberalismo italiano. Il vincitore, autore del saggio Dall'assassinio di Moro all'Italia di oggi (Donzelli) è Guido Crainz. Docente di Storia contemporanea a Teramo, ha fatto parte del Direttivo dell'Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia e del Comitato scientifico dell'Istituto «Alcide Cervi», collabora con Radio3 e scrive su la Repubblica. È del 1947 e militò in «Lotta Continua», di cui fu portavoce. Uno speciale premio alla memoria sarà dedicato a Miriam Mafai, scomparsa lo scorso anno, tra i fondatori della Repubblica e storica compagna del leader Pci Giancarlo Pajetta.

Per quanto riguarda il passato, nel 2012 ha ricevuto il premio «Benedetto Croce» Ugo Mattei (consulente giuridico del Teatro Valle occupato a Roma, del movimento NO TAV in Val di Susa e «di molte iniziative del movimento che si oppone al neoliberismo», come recita il profilo Wikipedia); nel 2011 Salvatore Settis, nel 2010 lo storco marxista Lucio Villari, e in precedenza l'economista socialista Paolo Sylos Labini e Giorgio Napolitano, nel 2006, poco prima dell'elezione a presidente della Repubblica.

Comunque, solo quest'anno è scoppiato il «caso» di un premio intitolato al maestro del liberalismo (la cui finalità è «legare il pensiero di Croce a temi di attualità e alla realtà economica, politica e sociale del Paese») ma assegnato a storici - i cui saggi posso essere senz'altro di valore - il cui pensiero fa a pugni col liberalismo. Invitato alla serata di gala, Dino Cofrancesco, storico delle Dottrine politiche e grande studioso del pensiero liberale europeo (e molto amico di Piero Craveri, figlio di Elena Croce, la primogenita del Senatore), ha manifestato il proprio «stupore» a Natalino Irti, presidente della Giuria del premio, chiedendosi come potesse un Istituto che si richiama a Croce consegnare un premio a uno storico «di parte» (e non liberale) come Guido Crainz. La risposta - «il premio non è assegnato dall'Istituto, né in nome dell'Istituto, ma da una giuria variamente composta...» - non ha migliorato le cose. «È come se dicessero che “una giuria variamente composta” assegnasse il Premio Benjamin Constant a Fausto Bertinotti... E poi mi dicono che capiscono il mio stato d'animo...», è lo sfogo di Cofrancesco. A spalleggiarlo, un altro studioso liberale purissimo, Giuseppe Bedeschi, filosofo e storico del pensiero liberale e firma del Sole 24Ore, anche lui stupito dalla decisione, tanto da inviare un messaggio critico all'organizzazione (condiviso da altri storici). «È un premio - dice al Giornale - che dovrebbe essere riconosciuto a storici d'ispirazione liberale, mi sembra ovvio... Questi sono storici che hanno le carte in regola per entrare nei salotti della sinistra, ma che con il liberalismo non hanno nulla a che fare».

Come consegnare il premio «Friedrich von Hayek» a Stefano Fassina. O il «Milton Friedman» a Stefano Rodotà. Interpellati, il responsabile del Comitato organizzatore del premio, Pasquale D'Alberto, spiega che «non si premia l'autore, ma il libro» (e allora forse è addirittura peggio), mentre uno dei giurati, Costantino Felice, storico dell'Economica all'Università di Chieti-Pescara, chiede - a noi - «cosa c'entra il Giornale con questa storia? Se uno scrive sul Giornale non è riconducibile all'area liberale» (sic).

Uno che invece è (più che) riconducibile all'area liberale, Piero Ostellino, si dice non stupito, ma «scandalizzato». «È l'ennesima dimostrazione di quanto il gramscismo abbia avuto successo, e continui ad averlo, in Italia. Politicamente il comunismo ha perso, ma il gramscismo ha trionfato culturalmente, conquistando tutte le casematte della società civile... Come aveva previsto Gramsci nei suoi Quaderni.

I “gramsciani”, anche se magari non sanno neppure di esserlo, sono ancora dappertutto: scuola, università, giornali, editoria. Ma ormai non mi stupisco più di nulla. Viviamo in un'Italia, a proposito di “libertà”, in cui se dici “Paese di merda” prendi mille euro di multa...».

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