Pubblichiamo per gentile concessione dell'editore una pagina del "Diario moscovita. Appunti sul dispotismo russo" di Giancarlo Vigorelli (Mimesis, pagg. 190, euro 16; a cura di Gianni Giovannelli; prefazione di Gianfranco Ravasi, in libreria da domani). Il diario, completamente inedito sino a oggi, fu tenuto dallo scrittore e critico Vigorelli (1913-2005) durante il suo viaggio a Mosca, nella primavera del 1966, in qualità di segretario della Comunità Europea degli Scrittori (Comes) per cercare di evitare la condanna ai Gulag di due scrittori dissidenti sovietici, Andrej Sinjavskij e Julij Daniel.
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Basta, tutta questa è materia successiva, e non deve trovare posto qui. Soprattutto è roba che non mi interessa qualsiasi cosa si dica contro o pro questa mia azione non mi fa né caldo né freddo, so di avere agito in tutto secondo coscienza: questo importa, e se in parte la missione è fallita, come dicono con gioia parecchi giornali italiani, io so che ha giovato, nonostante tutto, ai due condannati \ e a tutti gli scrittori in sospetto.
Tutta la differenza è questa: dei due, la più parte, non gliene importa niente, a loro preme di fare dell'anticomunismo fesso, di merda; a me interessava la loro sorte e quella di tutti gli scrittori in pericolo, e quelli veri lo sono tutti, più o meno.
Certo, di tutti i miei viaggi anche all'infuori delle trattative avute questo è stato il mio viaggio più rivelatore: la situazione in Urss è cambiata, in maniera inimmaginabile, tanto positivamente quanto negativamente. Potrebbe succedere qualcosa, anche non a grande distanza: se qualcuno me l'avesse detto, avrei esitato a crederlo; ma l'ho avvertito, e constatato, in me, da troppi sintomi, a più livelli. Gli apparati restano tremendi, anzi il peso della polizia (scomparso o nascosto sotto Kruscev) salta agli occhi, ma la libertà sembra avere scosso la sorda indifferenza, e tanti anni di atroce dolore sino all'apatia, e c'è nell'aria qualcosa che può persino portare a una ribellione (è la primissima volta che ne ho sentore) e, senza fare stupidi paragoni, tira quasi un vento da 25 luglio: ho persino osato dirlo, un po' scherzando, perché temevo una reazione violenta, dicendo che noi stavamo con le orecchie su radio Londra quando eravamo alla vigilia del crollo \... e mi hanno lasciato dire, senza battere ciglia.
Non faccio paragoni, neanche richiami. Soprattutto, qui sarebbe subito possibile un 8 settembre sul piede di casa a meno che i militari diano una mano ai politici, ma questo è assurdo, con la Cina alle spalle, e poi i militari è più facile che tentino un 8 settembre con i reazionari... Non ci si può servire di bagatelle nostre. Niente può essere previsto. Eppure tutto può accadere. Non ora, col Vietnam aperto. Ma se in Cina mollassero i duri qui la vittoria dei «liberali» sarebbe sicura e fuori decisiva.
Non sono preveggenze, neppure ipotesi.
Mosca, 23 aprile 1966
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