Autobiografia in forma di critiche

Una biografia poetica per immagini. Di Rainer Maria Rilke non appare nemmeno un ritratto. Eppure mai come in Tutti gli scritti sull’arte e sulla letteratura raccolti a cura di Elena Polledri per i tipi dell’editore Bompiani (pagg. 1307, euro 36) affiora in netto rilievo il suo profilo. Meglio che nelle lettere: da Parigi o da Muzot. Meglio che nei Diari, nei Quaderni o nel Libro d’ore. Meglio che nella messe dei documenti personali e confidenziali con cui il poeta tenne il passo del suo destino, è nel confronto con l’opera figurativa di artisti frequentati dalla giovinezza che prese coscienza di sé e del proprio compito.
Non si fosse visto riflesso, per lungo esercizio di sguardo, nelle icone e negli affreschi della cattedrale di Kiev (L’arte russa, 1900), nei paesaggi degli Impressionisti (1898) e dei pittori di Worpswede (1902), Rilke non avrebbe trovato conforto alla propria intuizione di Dio e di uno spazio interiore reinventato creativamente nel ricordo, nell’intelligenza del cuore e nello sforzo dell’arte. Non si fosse riconosciuto nelle intenzioni delle nature morte di Cézanne, o nella plastica delle figure di Rodin (1905), non avrebbe trovato lo stimolo per intraprendere l’ascesi del lavoro, né il coraggio di affrontare la via dell’opera: la sola che conducesse alla segreta ontologia delle cose.


La vicinanza dell’autore agli artisti, l’identità della loro ricerca poetica ed estetica, impedì fino all’ultimo a Rilke di definirsi «un critico». «Non studio pittura, rinuncio a giudicare» scriveva nel 1903. «Non valuto l’arte che dalla felicità che sa donarmi».

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