Quella di Erwin Rommel è una figura complessa, divisiva e affascinante nel quadro della storia militare del XX secolo. Il comandante delle Panzerdivisionen in Francia divenuto "Volpe del Deserto" alla guida dell'Afrika Korps tedesco in Libia e Egitto durante la seconda guerra mondiale fu comandante capace di agire dal fronte, applicatore delle più avanzate dottrine del blitzkrieg capace di essere tanto un tattico sopraffino quanto uno stratega spesso approssimativo. Soprattutto, Rommel fu il meno nazista dei comandanti militari tedeschi, un uomo che non importò sui suoi teatri le più efferate tecniche di repressione di cui la Wehrmacht si rese responsabile altrove pur senza mostrare a lungo, fino ai tragici giorni del D-Day e del complotto del 20 luglio 1944 preludio del suo suicidio del 14 ottobre successivo, alcun gesto di vera insubordinazione a Hitler sul piano strategico.
Ma non è possibile capire l'epopea del generale di origine sveva senza parlare del suo battesimo del fuoco, la Grande Guerra, in cui Rommel elaborò tanto la sua formazione dottrinaria e strategica, incorporando l'ostilità alla guerra di logoramento divoratrice di vite e risorse, quanto la sua concezione cavalleresca del conflitto e della disfida tra armate e Stati. Il destino personale di Rommel si incrociò, in questo contesto, con la grande storia del nostro Paese in occasione dell'impiego del giovane ufficiale tedesco sul fronte italiano della Grande Guerra, nei giorni di quella campagna che per l'esercito di Vittorio Emanuele III si sarebbe conclusa nella tragica rotta di Caporetto.
La guerra-lampo di Rommel a Caporetto
Rommel restò per tutto l'arco della sua vita profondamente legato alla sua prima grande impresa militare, il contributo decisivo dato alla rottura del fronte italiano nell'ottobre 1917 dalle truppe tedesche da lui guidate in sostegno alle armate austro-ungariche schierate sull'Isonzo, a cui dopo la prima guerra mondiale dedicò il saggio Fanteria all'attacco a Caporetto riproposto in Italia dalla casa editrice Leg.
A soli 26 anni, Rommel era allora un giovane primo tenente del battaglione fucilieri da montagna del Wurttemberg, inserito nel gruppo di truppe d'élite dell'Alpenkorps e reduce da precedenti esperienze di combattimento sul fronte della Transilvania dopo la dichiarazione di guerra della Romania agli Imperi Centrali del 1916. In sole quattro giornate di combattimento, a partire conquistare una serie di posizioni vantaggiose, Rommel alla guida degli alpini operò una strategia di infiltrazione nelle linee italiane con le sue truppe di assalto, spostandosi da Tolmino fino alla cima del Matajur. Attacchi a sorpresa, offensive durissime sulle linee italiane, volumi di fuoco superiori concentrati su punti critici (schwerpunkt), aggiramenti delle linee condotte con ardite operazioni sulle quote medio-alte delle Alpi Giulie: in poco più di due giorni Rommel e i suoi uomini scatenarono una vera e propria guerra-lampo sugli altipiani.
Nella sera Rommel conquistò a quota 1114 metri la sommità dello strategico monte Kolovrat: il giorno successivo fu espugnato il Monte Nagnoj, cui seguì il Monte Kuk occupato dopo duri combattimenti, mentre il 26 ottobre il Battaglione da montagna del Würtenberg raggiunse l'importante vetta del Monte Matajur, sita a quota 1641 metri. Nel pomeriggio dello stesso giorno, rinforzate da quattro compagnie aggiuntive, le truppe sveve dilagarono nella Valli del Natisone verso Pulfero, tagliando una delle direttrici principali per la ritirata dei soldati italiani, avanzando verso San Pietro del Natisone, Sanguarzo e Cividale. In ottanta ore di combattimenti Rommel avanzò con i suoi uomini di 50 chilometri, catturò 15mila prigionieri e subì una numero ridottissimo di perdite: 9 caduti e 50 feriti. Gli italiani, provati dalle precedenti undici battaglie dell'Isonzo, in larga misura furono sorpresi dall'azione fulminea dei tedeschi e spesso furono circondati senza la possibilità di reagire.
La nascita di un mito
Come ricorda Rommel nelle sue memorie, che in Germania videro la luce per la prima volta nel 1937, "tre razzi verdi e uno bianco annunciarono la caduta dell’importante baluardo dello schieramento italiano". Alla conquista del Matajur e al tracollo delle brigate italiane Arno e Salerno, punto di arrivo dell'offensiva fulminea condotta dalle truppe guidate dal giovane tenente svevo, "contribuirono in maniera determinante anche i sanguinosi attacchi della 12a Divisione Slesiana" che, ingaggiando frontalmente i difensori, permisero al reparto d’assalto di Rommel di sbucare ai fianchi e alle spalle degli italiani, i quali, colti di sorpresa, non poterono far altro che arrendersi in massa.
Lo shock causato dall'avanzata di Rommel contribuì al crollo del fronte italiano in uno dei settori decisivi in cui le armate del Regio Esercito collassarono durante l'offensiva di Caporetto, dando l'impressione ai soldati in grigioverde di essere circondati da ogni lato. L'avanzata proseguì poi oltre il Tagliamento sulla strada militare del Vajont, culminando con una nuova offensiva a tutto campo nel paesino di Longarone: Rommel il 10 novembre 1917 ricevette la resa delle truppe italiane in ritirata comunicando di aver catturato "200 ufficiali. 8mila uomini. 20 cannoni da montagna. 60 mitragliatrici. 250 carri carichi. 600 bestie da soma. 12 camion" con la perdita di un solo uomo e due feriti.
L'offensiva con cui Rommel divenne, a tutti gli effetti, Rommel contribuendo in senso decisivo al successo di un'offensiva, in un rapporto sproporzionato nelle guerre moderne tra il ruolo di un comandante nel decidere una battaglia e il suo grado relativamente modesto, è entrata nella storia militare del XX secolo. Tuttora nelle valli del Natisone e del Tagliamento è possibile rintracciare i segni di un'avanzata decisiva nelle terre che, un anno dopo, avrebbero invece visto le truppe italiane prendersi la decisiva rivincita di Vittorio Veneto.
Rommel riportò l'offensiva ad avere una sua dignità militare in una guerra in cui le azioni di avanzata erano spesso ridotte a cariche suicide destinate a essere messe sotto scacco. Si vedevano, già allora, i semi di un talento militare che avrebbe mostrato in futuro i suoi effetti sulla scia delle imprese del generale e feldmaresciallo dalla Francia all'Africa. Ma anche, in fin dei conti, di quello che sarebbe rimasto il principale limite del comandante svevo: la sua natura di uomo di prima linea, capace di dialogare faccia a faccia coi soldati ma ridimensionato di fronte alle grandi dinamiche strategiche, troppo spesso capace di fidarsi esclusivamente del proprio fiuto e dell'effetto galvanizzante che alle truppe avrebbe garantito ogni comunicato dichiarante Rommel an der spitze! ("Rommel al comando"). Dinamiche, queste, che si sarebbero viste all'opera nel secondo conflitto mondiale con la mancata presa di Malta, la scelta dolorosa e dannosa di resistere ad oltranza ad El Alamein e la dispersione delle forze nella difesa della Francia occupata del 1944.
Tutte problematiche in cui si palesarono nella loro interezza i limiti strategici di un uomo che, nel bene e nel male, era rimasto il fulmine di guerra di Caporetto e il comandante di prima linea che aveva indossato i gradi da maresciallo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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