"Che errore censurare le tribù incivili del web"

Il sociologo Maffessoli sull'aggressività via internet: "All'inizio di un grande mutamento i momenti di crudeltà sono inevitabili: ma la rete saprà autoregolamentarsi"

"Che errore censurare le tribù incivili del web"

Meno Ethos e più Eros. Per Michel Maffesoli, l'uomo contemporaneo ha ormai sostituito le gerarchie del pensiero con l'affettività. Al modello del pensatore, del condottiero, del politico, dell'Eroe, si è sostituito il modello del Puer Aeternus, l'eterno fanciullo, in cerca non tanto di regole, quanto di una socialità empatica, di affettività a portata di mano, di piacere. Il che, secondo Maffesoli non è necessariamente un male, ma una condizione ormai irreversibile. Dal punto di vista sociologico invece, cadute ideologie e gerarchie, il rifugio contemporaneo sono le tribù: piccole aggregazioni che si comportano e agiscono più o meno come quelle antiche. Insomma, Maffesoli disegna una prospettiva postmoderna di ritorno a un primitivo 2.0. Non a caso è un fautore del paganesimo. «Secondo Hegel il tempo è una freccia che procede in avanti» commenta il sociologo e filosofo francese, «secondo Nietzsche è un eterno ritorno, ma nel postmoderno il modello è quello della spirale: cose che tornano, in una generale prospettiva di cambiamento sostanziale». Il Giornale ha incontrato Maffesoli al Festival Vicino/Lontano di Udine, la cui edizione 2013 è dedicata alla ricerca di nuovi paradigmi. Qui Maffesoli ha presentato una lezione dedicata all'Homo Eroticus, che è anche il titolo del suo ultimo libro, in uscita fra qualche settimana per Liguori.

Assistiamo ad un ritorno dell'Eros, dunque?
«Stiamo assistendo a una saturazione dell'idea di rappresentanza politica e democratica. La gente, lo possiamo vedere benissimo sia in Francia sia in Italia mostra disaffezione per la politica. Una volta il collante sociale era l'ethos (che non a caso, in greco vuol dire «cemento»), adesso è l'estetica.

In che senso?
«In senso antico: in greco aisthesis vuol dire sentire. Al centro dell'interesse pubblico c'è la condivisione di passioni, di emozioni collettive: pensiamo a fenomeni come le grandi gare sportive, ai concerti rock, ai rave parties, o all'elezione del Papa».

Questo cosa comporta a livello sociale?
«Alla struttura sociale tradizionale, patriarcale si sostituisce un tipo di struttura fraterna, fondata invece sulla condivisione, in cui non c'è un leader vero e proprio».
E questo è il fondamento del tribalismo postmoderno di cui parla: piccole società che si aggregano come tribù. Ma la politica tradizionale non sembra recepire quest'idea. Per esempio l'Unione Europea è un'organizzazione verticistica...
«L'Europa di oggi è il tentativo di esportazione dell'idea di stato nazione, un'idea figlia delle ideologie moderne. O almeno questa è l'Europa ufficiale, quella della burocrazia e della tecnocrazia. Ma a me interessa un'altra Europa».

Quale?
«L'europa “ufficiosa”. Per esempio quella fatta da giovani che interagiscono in piccoli gruppi, attraverso la rete, e che saranno la classe dirigente di domani. L'istituto in cui insegno di recente si è occupato del coach surfing, cioè lo scambio di ospitalità tra giovani di tutt'Europa. Ecco, quello è già un piccolo segnale di piccole reti che si creano e condividono contenuti. Ma ci vorrà del tempo perché la politica recepisca questo fenomeno, in Francia diciamo “La politica è sempre in ritardo di una guerra”».

A proposito di Francia, come giudica Hollande?
«È un presidente del XIX secolo, porta avanti un'idea anacronistica di politica».

Basta col modello nazionale, insomma. Quale sarà il modello del futuro, allora?
«Quello imperiale: grandi imperi con all'interno realtà locali forti e autonome».

D'accordo, la rete, la condivisione. Ma spesso i piccoli gruppi su internet si fanno la guerra, o fanno la guerra a personaggi noti attraverso il trolling. In Italia ci sono state parecchie polemiche ...
«Su questi argomenti la nostra è ancora una società in fase di apprendimento. In rete c'è tutto: la generosità, la beneficienza, e anche queste forme di ostracismo. In qualsiasi forma di cambiamento c'è anche un rinselvatichimento, ci sono momenti di crudeltà».

Lei è per un controllo della rete, per una censura?
«Decisamente no. Sono per una autoregolamentazione: ogni fase di apprendimento è caratterizzata dal fenomeno di autoregolamentazione».

E funziona?
«Secondo un recente studio è apparso che nelle enciclopedie cartacee ci sono in media il 30% di notizie errate. Lo sa qual è la percentuale in Wikipedia, che si autoregola secondo la peer review? La stessa: il 30%».

Ma la rete è meno neutra di quello che appare.

Per esempio gli algoritimi dei motori di ricerca sono decisi a tavolino da chi li produce, non sono oggetto di negoziazione, e lo stesso vale per i software…
«Non credo che questi aspetti siano rilevanti. Penso che siamo tutti troppo spaventati dall'intelligenza collettiva che si sviluppa in rete. E comunque, anche se fosse come dice, resta il fatto che “così è”. Questo è l'ambiente che ci è dato e dobbiamo adattarci».

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