il commento 2 Il grande austriaco letterato onnivoro

diUna sera a Napoli ero nello studio di Domenico Rea e, con l'incoscienza dell'età (allora giovanile) gli chiesi come mai non scriveva più. Lo scrittore si arrampicò su una scala e tirò giù un libretto: la Novella degli scacchi di Stefan Zweig, aggiungendo che dopo quel racconto non c'era nient'altro da scrivere. Ovviamente mentiva: nel 1992 pubblicò il suo stupendo romanzo Ninfa plebea, che gli valse il premio Strega. Eppure il suo entusiasmo per Zweig era sincero, un entusiasmo che era condiviso da generazioni di lettori di tutto il mondo. Zweig era il più popolare autore di lingua tedesca tra le due guerre e godeva di una vastissima notorietà anche da noi con le perfette traduzioni di Lavinia Mazzucchetti, la principale traduttrice dal tedesco di quei decenni, per la «Medusa» mondadoriana, ma anche altre case editrici - la Sperling & Kupfer, la Dall'Oglio - lo proponevano con successo. Il suo ritorno oggi si spiega con il venir meno dei diritti d'autore, ma soprattutto con la sua straordinaria facoltà affabulativa, per la sua intrigante eleganza stilistica, che - per contrasto - riusciamo ad apprezzare sempre intimamente. Con la Novella degli scacchi e con la sua autobiografia Il mondo di ieri - entrambe pubblicate postume - Zweig supera se stesso per una intensità di scrittura che fanno di lui uno dei protagonisti della prosa tedesca del Primo Novecento.

Del resto la sua precedente produzione è di tutto rispetto, come confermano le sue celebri e intramontabili biografie romanzate: la più celebre è su Erasmo da Rotterdam, stupende sono anche quelle «francesi», Maria Antonietta, Fouché, Balzac, mentre le sue novelle viennesi - Paura, Lettera di una sconosciuta, Bruciante segreto - hanno introdotto una nuova sensibilità, nutrita dalla psicoanalisi del suo concittadino Freud (anche lui ebreo mitteleuropeo), nella scrittura del Novecento. Dunque Zweig viene a riprendersi il posto che legittimamente gli spetta tra i grandi autori del secolo scorso.

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