La cultura malata di "melandrite"

C’è un teatro da occupare? Ci sono. Una poltrona da prendere? Anche. I maestrini non se ne lasciano scappare una

La cultura malata di "melandrite"

La melandrite non arriva mai per caso. Era un ve­nerdì 13, di aprile. La no­tizia che il Maxxi è stato commissariato non è più un segre­to. Giovanna Melandri scrive su Twitter: «Mi dispiace molto per il Maxxi ma confido che il ministro Ornaghi sappia trovare una solu­zione ». Veggente. Non dite adesso che è solo questione di fortuna. Queste cose le melandrine le stu­diano fin da piccole. Sono strategi­che. Sanno sentire il vento. Non sbagliano mai una scia. Sanno quando è il momento di arricciare il naso, muovere lentamente i ca­pelli biondini dolcemente ondula­ti e dire la frase giusta quando ser­ve. Sentono che non verranno ri­candidate, si dimettono da deputa­te si riciclano in un museo. Sono na­te con il paracadute incorporato. Le melandrine scrivono su Twit­ter per testimoniare al mondo: io ci sono. È così che Ornaghi l’ha vista. È stata la prima ad alzare la mano. Nella vita in fondo è questo ciò che conta. Il resto è noia. Le melandri­ne le trovi sempre negli incroci giu­sti. C’è un teatro occupato? Ci so­no. C’è una manifestazione al Co­losseo dove si può gridare «abbrac­ciamo la cultura »?Subito l’abbrac­ciano. C’è un aperitivo all’Audito­rium? Cin Cin. Hanno cominciato a leggere Franzen quando hanno scoperto che tifava Obama e han­no provato anche a buttarsi nel bird watching , ma non fa per loro. L’ambientalismo è bello in città,do­ve ti vedono tutti. Le melandrine so­spirano per la sorte di Wallace, ma di lui hanno letto solo le cose brevi.

Infinite Jest no, quello si può legge­re solo quando uno ha molto tem­po e rigorosamente in lingua origi­nale. Capita poi che le melandrine cadano nella loro parte oscura. Fanno cose trasgressive di cui ci si deve vergognare. Tipo ballare sui tavoli in un locale di Briatore con la scusa del mal d’Africa, che fa tanto Karen Blixen. Le melandrine han­no occhiali viola e le ballerine per­ché sono giovani dentro, sono gio­vani sempre. Lo capisci da quello che scrivono. I loro tweet sono una litania infinita di wow, grande, me­raviglioso, stupefacente, dairagaz­ze che siamo le migliori! Sono le ve­stali della religione esclamativa. Leggono tutto, proprio tutto. Basta che stia negli scaffali dei libri da au­togrill o nei mercatini certificati dal­la sinistra veltroniana. Va bene Ascanio Celestini ora che non puz­za più di periferia. Vanno bene i rea­ding su Gadda ma solo se c’è Fabri­zio Gifuni. Va bene il Valle ma se è occupato e la Guzzanti che però ogni tanto fa la pazza. Il calcio è bel­lo quando parla Zeman. Sono così tenere che hanno perdonato a Elio Germano di aver fatto un film con Carlo Vanzina. Poi lui si è riscattato e lo invitano in tutti i luoghi e in tutti i laghi dove la cultura è social.
Tutto quello che passa da Fazio è da non perdere. Non perdono Sa­viano. Non perdono un Toni Servil­lo, uno Stefano Benni, un Roberto Cotroneo conosciuto da giovane quando sul
Sole 24Ore stroncava tutti e si firmava Lancillotto e si commuovono quando Renzo Pia­no ricorda la sua amicizia con De André. Un tempo amavano Baric­co, ora lo trovano troppo leggero. I romanzi sono come la moda, pas­sa. Adesso hanno scoperto Walter Siti e se a cena le insulta, ridono. In certi momenti di malinconia dico­no di sentirsi come in certi quadri di Hopper, scoperto una mattina d’inverno in via del Corso a Roma. Hanno perdonato a Ferdinando Adornato ogni cambio di casacca, tranne quello di essere stato berlu­sconiano.

La solidarietà femminile vale per tutti tranne che per la Minet­ti. Forse perché hanno paura di trovare qualco­sa di loro in lei o di lei in loro. Poi si rassicurano a vicenda dicen­do che non han­no mai fatto l’igienista den­tale. Arrivate a una certa età si svelano filantro­piche e lancia­no fondazioni che pubblicizza­no con concetti di alta filosofia. Tipo questo, scritto dall’ono­revole Melan­dri in persona il 27 agosto: «Quantoèuma­na la filantro­pia ». C’è del ge­nio, alla Fantoz­zi. Un mese pri­ma, giorno di inaugurazione delle Olimpia­di, un’altra illu­minazione: «An­che la Namibia come il Kenya ha portabandie­ra bianco... Glo­bal melting pot... Mica ma­le... ». Notare i puntini. Li ado­rano. Per giusti­fi­carli sostengo­no che sono co­melepauseedo­ardiane.
In real­tà è che pensa­no che così si crei un’emozio­ne. Quando poi si sentono metafisiche li mettono per sottolineare il mistero e l’incan­to dell’universo. Una volta sono an­date tutte a sentire Margherita Hack e tornando a casa, sbadiglian­do, continuavano a ripetere: che donna! Tanto che Giovanna non è riuscita a resistere e ha abbracciato la cultura (scientifica), scrivendo: «Questa cosa che l’universo potreb­be espa­ndersi all’infinito o contrar­si in un puntino... grande Margheri­ta Hack su cosa scommetti?». Sul pareggio.

Ecco perché Ornaghi ha fatto la scelta giusta. Giovanna Melandri è perfetta per il Maxxi perché il Ma­xxi è una scatola vuota. È perfetta perché, come ricorda lei stessa, è «la madre del Maxxi». Ed è un nor­male che un ministro battezzi un museo per poi andarlo a dirigere.

È perfetta perché ora che l’hanno li­cenziata da parlamentare del Pd non aveva nient’altro da fare. Ma soprattutto se l’è meritato. Come a scuola. È stata la più veloce ad alza­re la mano.

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