I "mostri" di Diane Arbus: "Prigioniera di un senso d’irrealtà"

Aveva esclamato: "L'umanità non è una" e con i suoi scatti l'ha dimostrato. La vita di Diane Arbus fu una miscela tra lavoro e passione nei sobborghi di una verità dimenticata da tutti

I "mostri" di Diane Arbus: "Prigioniera di un senso d’irrealtà"

"Ho sempre considerato la fotografia una cosa sconveniente e la prima volta che ho fatto una foto mi sentivo molto perversa", aveva ammesso una volta Diane Arbus. I suoi scatti sconvolgenti che ritraevano "mostri" e persone eccentriche hanno segnato il mondo della fotografia ancora prima della sua tragica morte. Il vortice di ghettizzazione nei confronti delle diversità è stato più forte della sua caparbietà e così, senza avere il tempo di prenderne atto, si è lasciata trascinare da quel baratro che per tutta la vita è stato la sua fonte di ispirazione.

Una vita da crisalide d'oro fino al confine

Diane Nemerov nasce a New York nel 1923. La sua famiglia, di origini ebree, la cresce in un ambiente ovattato, protetta da ogni tipo di contatto con il mondo esterno: "Una delle cose per cui sentivo di soffrire da bambina era che non avevo mai conosciuto l’avversità. Ero prigioniera di un senso d’irrealtà. E questa sensazione di immunità, per quanto ridicolo possa sembrare, era dolorosa". È per questo motivo che scatta in lei un meccanismo di dissenso verso quell’umanità che compatisce ma resta cieca di fronte alla diversità.

All’età di quattordici anni conosce Allan Arbus che diventerà suo marito e collega. Entrambi sono appassionati di fotografia, ma durante la loro collaborazione il “fotografo” rimane lui, lei solo la stylist dei loro set.

La presa di coscienza da parte di Diane arriva quando, nel 1958, inizia a frequentare le lezioni che Lisette Model teneva alla New School. Questa, accortasi della bravura di Diane, non ci mise molto a incoraggiarla e a spingerla ad avere una propria visione della realtà circostante. "Finché non studiai con Lisette sognavo di far fotografie, ma non le facevo davvero. Lisette mi spiegò che mi ero sentita colpevole di essere una donna perché non avrei mai capito i meccanismi di una macchina fotografica".

Da quel momento imprimerà attraverso i suoi scatti controversi la sua prospettiva, ben lontana da quella della gente comune, entrando a contatto con ciò che molti scansano: l’imbarazzante, lo sgradevole, il brutto. La grottesca denuncia dei difetti umani è esattamente quello da cui è stata sempre protetta e per cui adesso prova una forte attrazione.

Ispirata dai lavori di August Sander sulla quotidianità del popolo tedesco, fa lo stesso con i newyorkesi: attraverso un’indagine antropologica scava tra le sofferenze rimaste fino ad allora in sordina. Inoltre, dopo la visione della pellicola di Tod Browing, Freaks, inizia uno dei suoi lavori più noti e controversi. L’omonimo reportage racconta le piaghe della città e di chi ne sta dentro. Viene assorbita così tanto da questi soggetti da confondere l’esigenza di soddisfare un bisogno lavorativo da quello personale.

Diane Arbus Young man in Curlers
Young Man in Curlers

Uno dei luoghi più frequentati dalla Arbus è Club ’82 situato nella periferia di Manhattan. Qui incontra figure molto particolari come Miss Stormé deLarverie, la donna che si veste da uomo, e Moondog, un gigante cieco con una grande barba e corna da Vichingo. Le sue foto non sono frutto del caso, non le scatta di nascosto. Al contrario, le costruisce giorno dopo giorno avvicinandosi ai soggetti e instaurando con loro un rapporto di amicizia. Il suo diventa un bisogno che la porta a conoscerli, ad approfondire quello che vi era dietro una “bizzarria”.

Le opere di Diane Arbus cominciano a essere un problema per molti che non accettano la crudezza con cui sceglie di pubblicarle. Al contrario vengono apprezzati, sia dalle istituzioni che dai critici, gli scatti delle celebrities.

Il mondo oscuro

È in questo periodo che si confondono nella sua testa come una miscela amicizie e relazioni, imposizioni e interessi. Comincia a far uso di allucinogeni, droghe e antidepressivi, un mix perfetto per alleggerire il carico di orrore portato sulle spalle. Nel 1964 il Moma (Museum of Modern Art) acquista sette delle sue stampe e nel 1972 la mostra ospita centododici fotografie di Diane. Sembrava che fossero tutte simili tra di loro perché era come se ritraessero la stessa persona. Il filo conduttore era il degrado e la sua provocazione rispondeva alla tesi che l'umanità non è solo una.

Inizialmente la reazione del pubblico è tanto forte che alcune opere vengono pulite dagli sputi dei visitatori perché ritenute troppo forti e addirittura offensive. Da quel momento è chiamata “la fotografa dei mostri”. I farmaci e le droghe assunte negli anni precedenti la fanno ammalare di epatite e questo le provoca disagi a livelli fisico e psicologico.

L’atmosfera buia dalla quale non riesce a staccarsi sta cominciando a prendere possesso del suo corpo come un parassita. In questo periodo il suo focus si sposta verso tutto ciò che è doppio. Nutre sempre più un’ossessione verso i gemelli. Le sembra un mondo paradossale che lei desiderava esplorare. Kubrick prenderà spunto per il suo film Shining da questi lavori e in particolare dalla fotografia Identical Twins, Roselle, New Jersey realizzata nel 1967.

Diane Arbus Identical Twins

Uno dei suoi ritratti più famosi è quello di tre gemelle identiche sul letto: "Le tre gemelle rievocano la mia identità di adolescente allineate su tre immagini: figlia, sorella, ragazzaccia, con segrete fantasie lascive, una diversa dall’altra".

Gli ultimi anni di vita

Nel frattempo il conflitto in Vietnam attira la sua attenzione: in particolar modo è affascinata dal clima contrastante tra chi è pro e chi è contro. Con le sue foto racconta l’operato del movimento pacifista ma anche quello di chi è a favore della guerra. Anche in questo caso quindi non sceglie la via più semplice appagando l’opinione pubblica, ma ritrae anche l’altra faccia della medaglia, quella più scomoda, indignando la maggioranza.

Ricoverata nuovamente per epatite è costretta a interrompere gli psicofarmaci e ciò le causa violente crisi depressive. Chi la vede ne percepisce subito il disagio, gli occhi gonfi, la faccia sconvolta. Nel 1970 decide di sfogare il proprio malessere avviando una ricerca fotografica sui minorati a New Jersey. È infatti affascinata dalla loro innocenza e dall’assoluta incoscienza della propria condizione. In loro vedeva la sua infanzia pura. È l’inizio della serie di immagini oggi conosciute come Untitled.

Arrivata al limite della sopportazione fisica e psicologica, disturbata dalla malattia e dagli orrori, Diane decide che non è più

il momento di andare avanti e nella notte tra il 26 e il 27 luglio si toglie la vita nella vasca da bagno della sua residenza. Con lei muore anche ogni tentativo di dare dignità agli ultimi della società.

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