Un duro scontro del 1994 (con lieto fine) con l’autore di «Sostiene Pereira»

Un duro scontro del 1994 (con lieto fine) con l’autore di «Sostiene Pereira»

Chi, 18 anni fa, aveva l’età per leggere i giornali, ricorderà la polemica che intercorse, con toni molto duri, tra il sottoscritto e Antonio Tabucchi. Questo fatto, con il suo finale a sorpresa (e ignoto ai più), creò un legame tra noi, e fu senza dubbio importante nelle nostre vite.
Raccontarlo non è facile. C’era in me un groviglio di passioni, non tutte limpide e non tutte buone. Tutto nacque quando decisi di recensire Sostiene Pereira, il suo libro più famoso, uscito poco prima di una mia raccolta di racconti, Le decorose memorie. Era il 1994, l’anno in cui cominciò l’avventura politica di Berlusconi.
Non ho mai pensato che Tabucchi mi rubasse la scena. Però ero irritato, lo ammetto, dalle recensioni di Sostiene Pereira, così piene di lodi. Mi sembrò che il mondo letterario vedesse in quel romanzo una specie di modello su come si dovesse fare narrativa. Io però non facevo narrativa a quel modo. Trovavo Sostiene Pereira un libro bugiardo sul rapporto tra letteratura e potere, con una divisione rigida tra buoni e cattivi che io ritenevo impossibile, almeno da Dostoevskij in poi. Anche il mio era uno schema mentale, come tanti. Perché, mi domando ora, non si dovrebbe scrivere un libro fazioso? La letteratura è piena di capolavori faziosi. In ogni caso, avrei potuto tenere per me le mie opinioni, invece le volli esprimere in un articolo volutamente sgarbato.
Era un periodo in cui essere sgarbati era di moda. Il clima politico era a dir poco infuocato. Berlusconi aveva impedito ai comunisti di prendere il potere in Italia, e Sostiene Pereira, scritto prima di questo fatto, dovette parte del suo successo a questa contingenza, divenendo, per gran parte della sinistra italiana, l’emblema della libertà contro l’oppressione dei tiranni.
Il mio articolo disturbò molto Tabucchi il quale, dopo una dichiarazione piccata all’Ansa, esternò i propri sentimenti in un’intervista sul Corriere della sera, firmata da Ranieri Polese. Il titolo mi citava, dandomi del nostalgico dei regimi fascisti. Non era vero. Io vengo da due famiglie antifasciste. Semplicemente, non ero comunista. Tabucchi aveva più amici di me. La mia uscita infelice diede a molti il coraggio di infierire, anche a sproposito. Giovanni Raboni, senza sapere nulla di me, mi diede del nazista. Tommaso Padoa-Schioppa scrisse che intendevo difendere il concordato tra il Vaticano e il regime fascista di Salazar. Su Repubblica ebbi perfino l’onore di una vignetta di Pericoli e Pirella, devo dire molto carina, in cui mi si accusava di voler introdurre l’uninominale secco in letteratura.
Nel frattempo usciva il mio libro Le decorose memorie. Venne qualche recensione malevola, ma furono poche e stupide. Ricordo Cotroneo, Guglielmi, una tal Elisabetta Stefanelli. Altri, anche a sinistra, recensirono viceversa il libro con generosità e onestà intellettuale. Ricordo, su tutti, l’articolo su l’Unità di Mario Barenghi che pur essendo un tabucchiano, ebbe parole generose che non dimenticherò mai.
Poi, un pomeriggio, in una stazione ferroviaria incontrai Goffredo Fofi, mio vecchio amico, il quale mi disse di avere incontrato Tabucchi e di averlo visto molto giù. Nonostante i premi ricevuti per Sostiene Pereira, era caduto in depressione. La notizia mi aiutò a comprendere il mio errore, e così scrissi a Tabucchi una lettera di scuse: non perché il suo libro fosse bello (per me non lo era) ma perché non si possono usare le parole per far del male alle persone, e se qualcuno l’aveva fatto con me non potevo dimenticare di essere stato io il primo. Un conto sono le polemiche, un conto la cattiveria. Enrico Ghezzi mi disse: «Tu sei facile alle efferatezze». Da allora ho cercato di temperare, con alterne fortune, questo mio difetto.
Il 15 gennaio 1995 Antonio Tabucchi mi telefonò. Era il giorno di Sant’Antonio. Disse che aveva appena ricevuto la mia lettera, e che mai regalo di onomastico gli era stato più gradito.

Ci incontrammo qualche giorno dopo a Milano, alla Feltrinelli di via Manzoni, dove brindammo insieme. Ricordo la temperatura perfetta dello spumante, preparato da lui, con due flûtes, in un piccolo frigorifero: segno che l’incontro gli stava molto a cuore, come stava molto a cuore a me.

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