Elogio del bidone. Dimmi che cosa butti e ti dirò chi sei

Nel romanzo Cellophane Cinzia Leone racconta il feroce voyeurismo che spinge una donna a rovistare nei rifiuti altrui. È una potente metafora del mondo contemporaneo, che consuma tutto

È che ormai vai avanti per sottrazione, specchiandoti in quello che ti manca, che hai buttato, centrifugato, riciclato, consumato. Forse perché quando non riesci più a vedere il futuro, neppure a immaginarlo, non resta altro che rovistare nella spazzatura, à rebours, cercando una traccia di te stesso o degli altri.

Retro. Retromusica, retrotv, retrogame, retroscena, retrospettiva, retroromanzo, retrovita. Si fa surf su quello che si è riusciti a riciclare, quello che resta, come se la creatività fosse solo un dono del passato, da rivedere, riascoltare, per i più fortunati da reinterpretare. Il resto è silenzio. Frammenti di spazzatura. È qui che la storia viene triturata, frammentata, spottizzata, ridotta a presente. È la poltiglia dei vecchi quotidiani, la vittoria del frame e del lancio d'agenzia, la narrazione riportata alla materia bruta, non lavorata. Non c'è più il manufatto. C'è il grezzo, che scade in fretta. Dove va a finire tutta l'informazione consumata su Google? Che fine faranno i video scaricati da YouTube? Cosa resterà di tutte le parole scambiate su Facebook? Spam. Spazzatura. Spot. Sono anni scarnificati.

Ma quando è cominciato tutto questo? Quando il futuro ha cominciato a ridursi a una linea sottile, con l'orizzonte sempre più chiuso, tanto da adattarci a guardare indietro o in basso? L'ultimo futuro è quello intravisto e sognato all'alba della rivoluzione virtuale. E forse cade con l'illusione del muro di Berlino in frantumi. Da lì in poi, per vendetta della storia, le promesse sono state mantenute solo in parte. La colpa non è del fato, ma degli uomini, che potevano essere liberi ma si sono lasciati ingannare dalla paura. Come se ogni passo avanti fosse solo un rimpianto per la schiavitù perduta. È in quel decennio, gli '80, che si svolge in Sicilia Cellophane (Bompiani, pagg. 210, euro 16). È il secondo romanzo di Cinzia Leone, signora del fumetto d'autore, con quelle donnine seducenti, che narrano storie con la stessa malizia di Shahrazad, ma non hanno bisogno di aspettare l'alba per infilarsi nel letto. È lei la mamma di Gilda e l'autrice di Hotel Habanera, corto scritto con Vincenzo Mollica e musiche di Paolo Conte.

Questa volta la seduzione appare più malsana. È un'ossessione. È la voglia di spiare la vita degli altri rubando i sacchetti della spazzatura. E forse è un modo per conoscerli davvero, perché i rifuti ti raccontano più della cucina e del salotto, più dei baci e della psicanalisi, perfino di più delle canzoni di una vita. «La spazzatura ci racconta e ci tradisce, finisce per esserci molta più verità in quello che abbandoniamo che in quello che decidiamo di trattenere». È l'Italia che si tuffa nei consumi e non si preoccupa degli sprechi, tanto tra vent'anni saremo tutti vecchi. È qui, in un condominio palermitano, che vive Aurora Terrasini, giovane, bella, bulimica di storie e affamata di sesso, rifiutata, prima di tutto dai genitori, che vedono il lei solo la copia di salvataggio di una sorella morta. Aurora si trova a ereditare l'azienda del padre. È così che per mestiere stermina i topi, topi che dopotutto non odia perché come lei si affannano a sopravvivere. Li ammazza per lavoro, disinfestare. La spazzatura invece è un'altra storia. È una passione. È come un grande libro da leggere di nascosto. È un giallo, è la ricerca di una soluzione, è la voglia di dare un nome a quel dito mozzato ritrovato tra i rifiuti di una discarica e conservato come un feticcio nel frigorifero di casa. È la voglia di trattenere qualcosa di tutto questo tempo che va al macero. «Per tutta la vita ho cercato di riprendere quello che è stato gettato per poi ributtarlo via». È resistere, con ostinazione, con metodo, con arguzia. Fino a quando la spazzatura non diventa l'unica eredità, il capitale umano da cui ripartire, con cui fare i conti, un residuo fisso dopo che il mondo ha deragliato dal suo futuro ipotetico. Quella scoria velenosa seppellita da qualche parte, qualcosa che non hai il fegato di dissotterrare e la coscienza di continuare a nascondere, perché ti brucia dentro e ti corrode. Allora il futuro è solo un urlo afono, disperazione da umanità perduta e straziata.

È questa l'eredità che ci è toccata in sorte. Spazzatura. Ed è lì che ci tocca imparare a sopravvivere, sfuggendo alle trappole dei disinfestatori. La speranza ci dice che per ricostruire l'orizzonte dovremo sporcarci le zampe, le mani.

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