I carri armati inviati dall'Unione Sovietica erano riusciti a soffocare la rivolta. Mosca aveva ottenuto la sua vittoria. Una vittoria tuttavia "di Pirro", utile soltanto a rallentare un processo irreversibile. L'impero sovietico stava mostrando evidenti segnali di cedimento, e quanto accaduto a Budapest, nel 1956, era soltanto l'antipasto della valanga che di lì a poco avrebbe travolto gli eredi di Iosif Stalin.
Pugno di ferro
Nel frattempo, però, l'Ungheria e tutto il popolo ungherese avevano pagato un prezzo altissimo. Le azioni eroiche dei "ragazi di Buda" sarebbero finite nei libri di storia e le loro gesta raccontate generazione dopo generazione. Ma il loro Paese, dopo un'estenuante battaglia combattuta contro i sovietici, era ormai allo sfascio. Budapest, un tempo tra le più affascinanti capitali europee, era invece ridotta a un cumulo di macerie. La fiorente economia mitteleuropea, insomma, si era trasformata in un rottame. I sovietici avevano soffocato nel sangue la rivolta ungherese contro l'Unione Sovietica, e con lei l'intera Ungheria.
Il 4 novembre, in occasione del 65esimo anniversario della rivolta di Budapest contro l'invasione sovietica, esce anche in Italia L’Angelo di Budapest. I giorni della rivolta. Il fumetto, voluto dal governo ungherese per il 60esimo anniversario (5 anni fa), è realizzato dalla Fondazione pubblica della cultura ungherese e firmato dall'artista di fama internazionale Attila Futaki (già disegnatore Walt Disney: Percy Jackson e gli Dei dell’Olimpo – Il ladro di fulmini) e dal colorista Greg Guilhaumond. L'edizione italiana (Ferrogallico) è arricchita da una straordinaria sezione fotografica di 50 pagine, contenente le foto esclusive degli archivi di Stato ungheresi, della Fondazione Pubblica per le ricerche sulla Storia e le Società dell’Europa Centro-Orientale e dell’archivio Fortepan. Domani - martedì 9 novembre, giorno in cui si commemora la caduta del muro di Berlino e la fine dell'Unione sovietica - il volume verrà presentato al Senato presso la sala caduti di Nassiryia, alle 15.00, e presso la sala del Secolo d'Italia alle 18.00. In quest'occasione verrà inaugurata anche un'Esposizione Fotografica con immagini esclusive degli archivi di Stato Ungheresi, della Fondazione Pubblica per le ricerche sulla Storia e le Società dell’Europa centro-orientale e dell’archivio Fortepan.
Budapest in ginocchio
Al termine delle fasi più violente della rivolta, l'Ungheria contava 10mila prigionieri politici in un Paese di meno di 10 milioni di abitanti. I cittadini soffrivano la fame, le imprese erano distrutte, mentre l'Államvédelmi Hatósag (AVH) - i servizi di sicurezza locali - procedevano con l'epurazione dei rivoltosi. Torture ed esecuzioni erano prassi quotidiana. A farne le spese, giovani tra i 20 e i 30 anni, studenti e lavoratori, ovvero le anime della rivolta.
Furono loro che, come una marea che sale, prima abbatterono la bandiera con la falce e il martello, poi la statua di Stalin nel parco Városliget. Le autorità locali, incapaci di arginare un fiume in piena, dovettero arrendersi all'emergenza e al sostegno dell'Armata Rossa. La presenza sul suolo nazionale delle truppe sovietiche: proprio quello che gli ungheresi non volevano.
L'assedio e la mattanza
L’esercito ungherese era profondamente diviso, una parte appoggiava l’intervento armato russo, un'altra si rifiutava apertamente di sparare contro i rivoltosi. Venne proclamato lo sciopero generale e sorsero in tutto il Paese i consigli operai. In viale Tanacs, i cannoni dai carri sovietici sparavano ad ogni finestra illuminata. Nell'aria, come raccontarono i cronisti dell'epoca, per il popolo ungherese c'era odore di sconfitta. L'insurrezione dava l'impressione di poter essere presto neutralizzata. Eppure, con questa rivolta, l'Ungheria era insorta contro l'oppressione russa.
Il 4 novembre del 1956 200.000 soldati sovietici e 4.000 carri armati entrarono a Budapest: "L’Armata Rossa assedia la citta e per preparare il terreno alla penetrazione via terra, bombarda Budapest con l’artiglieria dalla collina Gellert e con i Mig.
Alle prime luci dell’alba, i carri e i blindati per il trasporto delle truppe d’assalto della Guardia occupano i punti nevralgici". Alla fine della battaglia sono 1.945 gli ungheresi morti e 690 i soldati sovietici. Almeno 200.000 persone lasciano il Paese per cercare asilo in Occidente, 20.000 i feriti, 228 condannati al plotone d’esecuzione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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