L'esodo dimenticato. Ecco i volti (e le storie) dei sopravvissuti

Il fotografo Francesco Dal Sacco ha immortalato sui luoghi della loro gioventù gli esuli superstiti, 70 anni dopo. Monumenti imbrattati a Roma e Venezia

L'esodo dimenticato. Ecco i volti (e le storie) dei sopravvissuti

da Trieste - I sopravissuti che tornano nelle loro terre, in Istria e Dalmazia o ricordano il padre sull'orlo della foiba dove è stato scaraventato. L'esule fuggito in barca, la bimba con la valigia di cartone, i giovani diventati adulti nei campi profughi sono stati fotografati oggi, nei luoghi dei loro ricordi, frammenti di una tragedia taciuta per tanto tempo. Volti e storie fissati con un clic quasi 70 anni dopo la fine della guerra, per non far scomparire la memoria dell'esodo. Un progetto che ricorda quello del regista Steven Spielberg con le testimonianze filmate dei sopravissuti all'Olocausto. Esodo dimenticato è una raccolta di immagini che comprende anche i luoghi di questa tragedia, come sono oggi. E diventerà mostra itinerante oltre a libro fotografico grazie agli scatti degli ultimi due anni di Francesco Dal Sacco. Il fotografo di Treviso, a proprie spese, con l'aiuto della Lega nazionale, antica associazione patriottica, ha rintracciato gli esuli riportandoli sui luoghi della memoria. «Mio nonno mi raccontava sempre la loro storia drammatica, che sembrava un tabù. Per il decennale del giorno nazionale del ricordo dell'esodo ho voluto documentare i luoghi e le persone protagonisti dell'esodo, a lungo dimenticati per opportunismo politico», spiega il fotografo. È un progetto che ricorderà per sempre il dramma di oltre 300mila italiani fuggiti dalle loro case a causa delle violenze dei partigiani di Tito.

Alessandra Luxardo, erede della dinastia del famoso liquore, è immortalata di fronte al palazzo di famiglia a Zara dove c'è ancora la grande scritta «Maraska». «Nel '44 gran parte della famiglia è scappata in barca a remi. Ci sono voluti 20 giorni per raggiungere Trieste. Si navigava di notte stando nascosti nelle isolette durante il giorno per sfuggire ai bombardamenti aerei» ricorda Andina, come la chiamano tutti, esule a 18 anni. Durante la fuga suo zio con la moglie furono annegati dai titini, che gettavano le vittime italiane in mare con delle pietre al collo. Il padre di Andina era rimasto in città per pagare gli operai ed è sparito per sempre. «Dopo la morte di Tito, nel 1980, sono tornata a Zara - racconta - e ho pianto». I ritratti degli esuli oggi sui luoghi di allora saranno 30, in gran parte già pronti, ma il lavoro continuerà tutto l'anno. A ogni scatto corrisponde una testimonianza registrata, che da oggi si può sentire sul Giornale.it. Antonio Toffetti si è fatto fotografare vicino alla foiba Plutone, sul Carso triestino. «Avevo 5 o 6 anni, quando con i miei coetanei lanciavamo le pietre in una foiba per gioco ascoltando il rumore dei sassi che cadono», racconta l'esule da Dignano d'Istria. «Nel giugno 1947 - ricorda Toffetti - ero davanti a una bara di legno bianca assieme a tante altre. Dentro avevano riposto i resti di mio padre ritrovati nella foiba Plutone, a dieci minuti di macchina da dove abito oggi. In quel momento, da bambino di 11 anni, sono diventato brutalmente adulto».

Argeo Benco, capelli argento e completo blu, ex sindaco del libero comune di Pola in esilio, è stato immortalato sulla scogliera istriana di Verudella dove da piccolo andava a fare il bagno. Egea Haffner è la famosa bambina con la valigia di cartone e la scritta «Esule giuliana» ritratta nella sua casa di Rovereto. Lino Vivoda si è fatto fotografare con una bandiera speciale: blu con al centro la capra, simbolo dell'Istria, e le stelle europee attorno. Sulla sua pelle ha provato l'infamia del treno di profughi bloccato a Bologna dai ferrovieri comunisti, che sputavano sugli esuli bollandoli come fascisti. A Fertilia, provincia di Alghero, Leandro Barison, è ai remi dell'ultima battana, la storica barca delle coste giuliano-dalmate. Nel '48 faceva parte di una flotta di pescherecci che salpò dall'Istria per raggiungere la Sardegna. Un'immagine toccante ritrae Fiore Filipaz vicino ai pochi ricordi della sorella neonata morta di freddo nel campo profughi di Padriciano vicino a Trieste. Tito Delton è fotografato su un campo di calcio dove giocava come capitano della Fiumana, squadra del campionato nazionale dilettante degli anni '60, ma nata a Fiume nel '26. Tiene a precisare che il nome Tito «lo avevano voluto i miei genitori in onore dell'imperatore romano».

Nel 1945 lasciò Pola con la famosa motonave «Toscana» e a Torino è diventato un calciatore. «A ogni partita gli spalti erano gremiti di esuli che facevano il tifo per la Fiumana, motivo di orgoglio, ma anche fonte di tristezza per il ricordo della terra natia». Delton non ha mai fatto ritorno in Istria.

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