«Io passo per platonico, ma sono aristotelico». E noi matricole, che già non avevamo le idee chiarissime, in tema di filosofia (altrimenti non saremmo stati lì) ci scambiammo occhiate interrogative. Eravamo a lezione in Aula magna, alla Cattolica di Milano, molti di noi non per motivi confessionali, ma semplicemente per dare, all'ultimo segmento del nostro corso di studi, maggior rigore, dopo i bagordi liceali. Era l'inizio degli anni Ottanta e il professor Giovanni Reale «dalla vasta fronte» proprio come Platone, era la prova vivente che eravamo capitati nel posto giusto. La sua Storia della filosofia antica , prima di studiarla la leggevamo , come poi avremmo studiato leggendoli Essere e Tempo di Heidegger e le Ricerche logiche di Husserl. Leggere era un piacere, e dunque studiare diventava un dovere piacevole, la quadratura del cerchio. Dai presocratici, letti-studiati sul Diels-Kranz, due volumoni Laterza che divennero per noi una specie di Bibbia dei viandanti fra i chiostri, fino ai neoplatonici, Reale fu il nocchiero della nostra «seconda navigazione» (l'immagine platonica su cui insisteva più che su tutte le altre): ci mise in mano i remi e ci esortò a vogare.
Un giorno a lezione si trattava proprio del Fedone , e uscì questa frase, attribuita da Platone agli iniziati dei misteri eleusini: «i portatori di ferule sono molte, ma i Bacchi sono pochi», cioè i cortei in onore del dio sono pieni di comparse, ma quelli che lo impersonano si contano sulle dita di una mano. Il professor Reale era un Bacco.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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