L'inquisitore riluttante ​alla (ri)scoperta di Pilato

Il politico romano è famosissimo ma della sua vita si sa davvero poco. Una biografia ne indaga la figura (ri)scoperta di Pilato

L'inquisitore riluttante ​alla (ri)scoperta di Pilato

Ponzio Pilato, chi era costui? Il governatore romano della Giudea che fece crocifiggere Cristo è talmente famoso da aver generato vocaboli («pilatesco») e locuzioni («lavarsene le mani»), eppure della sua vita sappiamo pochissimo. Anche adesso che Aldo Schiavone gli ha dedicato un libro, Ponzio Pilato. Un enigma tra storia e memoria (Einaudi), non ne sappiamo molto di più: l'enigma non viene sciolto, continua a essere tale. Perché lo storico napoletano non porta nuovi documenti bensì nuove interpretazioni e non potrebbe essere altrimenti, da quasi due millenni le fonti sono sempre le stesse, innanzitutto i Vangeli, poi i libri dello storico ebreo Flavio Giuseppe, quindi poche e poco utili righe di Filone, Tacito e Tertulliano. Ci sarebbero anche i Vangeli apocrifi ma Schiavone non è Dan Brown, uno studioso serio non presta attenzione a patacche tardive (anche del VI secolo, figuriamoci). La notizia vera più recente risale al 1961: il ritrovamento a Cesarea, sulla costa israeliana, di un'iscrizione smangiucchiata da cui si ricava, dato non proprio decisivo, che il prenome del governatore non era M. «Forse si chiamava Lucio, o Tito». O forse no. È tutto un forse il libro di Schiavone ma anche in questo risiede il suo fascino innegabile. «Non sappiamo in che lingua Pilato e Gesù si parlassero». Si avanza l'ipotesi dell'aramaico, poi del greco, quindi dell'interprete. «Da dove Pilato venisse, non sappiamo». Forse dal Sannio, forse da un'altra parte: tutte le località abruzzesi (Bisenti e Fontecchio), molisane (Isernia) e laziali (Scauri) che se ne disputano i natali potranno continuare tranquillamente a farlo, mancando sia le conferme che le smentite.Immergendomi nella nebbia delle congetture di Schiavone a un certo punto ho pensato di trovarmi in un libro di Sciascia, dentro una di quelle sue inchieste divaganti, di raffinata, letteratissima inconcludenza. Solo che al posto di Aldo Moro, di Raymond Roussel e di Ettore Majorana c'era Ponzio Pilato. E questo è un complimento, sia chiaro. Vorrei che tutti gli storici scrivessero come il nostro: siccome la storia non è una scienza esatta, specialmente quando tratta di eventi remoti e nebbiosi, allora tanto vale che sia un'arte. Ponzio Pilato anziché per Einaudi Storia poteva uscire per la Piccola Biblioteca Adelphi o per la Memoria Sellerio e non sarebbe suonato strano. Se un libro è bello cosa importa il suo genere? E dove si trova il confine tra storia e letteratura? Appartiene senza dubbio alla storia la descrizione del contesto, aggrovigliatissimo. Al tempo di Gesù la situazione etnico-politico-religiosa dell'area era, se possibile, ancora più complicata di oggi. Pilato risiedeva a Cesarea, città a maggioranza pagana ovvero greca, e si spostava nell'interno, verso il cuore dell'ebraismo, solo occasionalmente e sapendo di non esservi gradito. All'inizio del suo mandato aveva cercato di romanizzare Gerusalemme, di rendere più visibile la presenza dell'impero, ma di fronte alla fermissima risposta identitaria ebraica era stato costretto a fare marcia indietro e ormai si prefiggeva obiettivi minimi, più amministrativi che politici: riscuotere le tasse, evitare le rivolte...Disponeva di una notevole forza militare visto che nella sola Gerusalemme stazionavano una coorte di fanteria e un distaccamento di cavalieri ossia un migliaio di uomini, non pochi per una città di soli 40mila abitanti. Fatte le proporzioni, è come se oggi la tranquillità dei milanesi riposasse sulla presenza nelle loro strade di 33mila militari ben armati e per giunta senza zavorre giuridiche (con licenza di uccidere, per intenderci). Scommettiamo che furti, scippi e rapine crollerebbero di colpo? Ciò nonostante Pilato cercava di non inimicarsi gli ebrei e in particolare i sadducei che esprimevano il sommo sacerdote e rappresentavano l'élite collaborazionista, religiosamente tiepida e politicamente disponibile. Ed ecco spiegata la crocifissione di Cristo.Pilato tentò in tutti i modi di evitare la condanna, per non diventare contemporaneamente braccio secolare e marionetta del sinedrio, l'organo dell'autogoverno locale, ma Caifa e gli altri capi non sentirono ragioni e arrivarono a ricattarlo: o condanni quest'uomo che si definisce re o ti denunciamo a Cesare per aver preso sottogamba un potenziale usurpatore.E qui torna in gioco la letteratura, la capacità di Schiavone di riempire i buchi della storia con l'immaginazione e la scrittura suadente. Durante il lungo confronto con Gesù, all'inizio un interrogatorio poliziesco e alla fine un dialogo stellare («Che cos'è la verità?»), il governatore venne travolto dai dubbi: non solo circa la colpevolezza dell'arrestato, questione in fondo minore, ma sulla sua reale identità.

Possibile che un uomo normale rinunci a difendersi? E dove le trova un uomo normale simili parole? «Pilato capì che Gesù vedeva la sua morte sulla croce come l'unico esito possibile della sua predicazione e decise infine di accogliere l'inspiegabile volontà di chi gli stava innanzi».Chi era dunque Ponzio Pilato? Forse un convertito.

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