L'irriducibile Miriam Mafai Comunista in vita e in morte

Il vecchio vizio di giustificarsi sempre. Nell'autobiografia postuma irride alle "beghine" che nel '48 votarono Dc. Ma non ammette che, scegliendo l'America invece che Stalin, ebbero ragione loro

L'irriducibile Miriam Mafai Comunista in vita e in morte

Mi sono accostato con rispetto, ma anche con curiosità, all'autobiografia postuma di Miriam Mafai Una vita, quasi due che la figlia Sara Scalia ha curato per l'editore Rizzoli. Con rispetto perché Mafai - mi pare sia così che si deve scrivere adesso, anziché «la Mafai»- è stata una eccellente giornalista, una donna simpatica e un personaggio di rilievo sulla scena politica e culturale italiana. Veniva da una famiglia un po' eccentrica d'artisti di talento, è stata una militante del Pci con fedeltà e disciplina a 24 carati, ha avuto a lungo come compagno d'ideologia e di vita Giancarlo Pajetta: famoso per le sue battute e per l'agilità con cui, nelle accese dispute parlamentari, saltava i banchi...

Rispetto dunque. E poi la curiosità che sempre suscitano in me le pagine dove i vedovi nostalgici del comunismo raccontato le loro vicende, le loro passioni, le loro emozioni. In tutti coloro che al marchio di sinistra non hanno rinunciato mi pare di cogliere una lacerazione a malapena dissimulata. Ammettono - come potrebbero non farlo? - le abbiezioni e le sconfitte della fede in cui hanno creduto ciecamente ma insistono nel ritenere che le loro posizioni fossero più oneste e più nobili di quelle degli anti... Miriam Mafai, militante senza dubbi, deve a un certo momento scontrarsi con il trionfo democristiano del 18 aprile 1948. Ecco i sarcasmi con cui lo rievoca: «Solo l'America poteva difendere noi e i nostri bambini contro i cosacchi. E si mobilitano anche le Madonne. Piange per prima la Vergine di Santa Maria degli Angeli ad Assisi, poi la Madonna di Rocca San Felice nel napoletano, altre Madonne in Garfagnana, a Cagliari». Una staffilata all'oscurantismo di chi aveva votato De Gasperi. Non è che io abbia apprezzato l'uso delle Madonne e l'eloquio messianico di padre Lombardi, detto «il microfono di Dio». Ma assieme alle ironie avrei voluto leggere, sulle pagine di Una vita, quasi due e su altre pagine dell'abbondante memorialistica postcomunista, una sommessa ammissione. Le beghine e i frequentatori delle parrocchie avevano visto giusto, noi del Fronte popolare sbagliavamo. No. Si dice invece che «la campagna elettorale fu stupida e feroce insieme». Lo sarebbe stata anche se avesse vinto il Pci?

Per Miriam ho avuto simpatia e stima. Mi sono battuto, come presidente di giuria, perché un suo precedente libro avesse il premio «Acqui Storia». Le righe in cui sintetizza l'adorazione del popolo comunista per l'Unione Sovietica sono perfette. «Nei nostri comizi spesso parlavamo dell'Urss come del Paese nel quale tutti avevano un impiego, tutti i bambini andavano a scuola, tutte le donne lavoravano, dove insomma non esistevano né disuguaglianze né miseria né disoccupazione... Chi legge oggi quelle dichiarazioni, o quelle testimonianze, quei resoconti di viaggio, quelle descrizioni della vita sovietica non può che restarne sconvolto, tanto contrastano con quella che noi sappiamo oggi essere stata la realtà».

Miriam riconosce dunque che gli agit prop ingannavano gli operai e i contadini italiani raccontando loro un mucchio di bugie. Ma sottintende che anche chi le raccontava fosse convinto della loro veridicità. Questo non era possibile se riferito ai notabili del Pci che all'Uniine Sovietica avevano libero accesso e che ogni volta ne tornavano incantati. Ma non era possibile nemmeno se riferito alla Nomenklatura minore cui apparteneva Miriam Mafai; che in Urss andò ripetutamente. E si irritò una volta perché dall'Urss «per motivi per me misteriosi non avrei potuto telefonare né spedire una lettera e una cartolina». Le visite e le escursioni erano collettive e rigorosamente programmate. I motivi non erano misteriosi, ce n'era uno molto semplice. La patria del comunismo era una tirannia peggiore dei più truci regimi capitalisti. Ma nemmeno dopo quelle esperienze gli apparatchik smisero di esaltare, negli incontri con le «masse», le meraviglie sovietiche. Sapevano e mentivano.

Acqua passata da moltissimo tempo, con i suoi interrogativi e con le sue mostruosità. Acqua, tuttavia, che Una vita, quasi due ripropone. Non è strano che Miriam Mafai, intelligente e intraprendente, abbia ceduto a questi conformismi. Era in numerosa compagnia.

È tuttavia un po' triste che, pur dopo avere cambiato collocazione professionale - trasmigrando dalla stampa di partito a Repubblica - e dopo aver saputo compiutamente cosa l'Urss fosse, continui anche adesso che non c'è più, in questo scritto postumo, a ostentare una certa alterigia nei confronti della mediocrità benpensante che preferì l'America a Stalin. Ma forse proprio per questo il libro merita d'essere letto.

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