Nestore Martinengo, il bresciano che sopravvisse all'assedio di Famagosta

Quando i Turchi ottomani nel 1571 assediarono la città cipriota di Famagosta, allora appartenente a Venezia, tra i pochi superstiti alla battaglia vi fu un militare della Serenissima: il bresciano Nestore Martinengo

Nestore Martinengo, il bresciano che sopravvisse all'assedio di Famagosta

In queste settimane, la nave "Martinengo" della Marina militare italiana incrocia nelle acque del Golfo di Guinea, in missione anti-pirateria; più vicino ai confini nazionali, il Mediterraneo orientale è oggi animato dall'attivismo geopolitico della Turchia di Recep Tayyip Erdogan, che tra corsa alle fonti di energia, competizione militare e strategie ardite contribuisce a destabilizzare un teatro in cui l'Italia ha, di recente, "mostrato bandiera". La fregata Martinengo e la competizione nel Mediterraneo orientale, attorno alle acque di Cipro, riportano la memoria indietro di diversi secoli: tra gli antenati del contrammiraglio Federico Martinengo, l'uomo a cui la nave è intitolata, spicca infatti un militare della Repubblica di Venezia, Nestore Martinengo, che nella seconda metà del XVI secolo fu testimone oculare e cronista della ben più feroce competizione tra Turchi e potenze europee per il controllo del Mare Nostrum.

Nestore Martinengo da Barco nacque dal ramo bresciano dell'omonima famiglia che, originaria del territorio bergamasco, divenne feudataria e proprietaria di numerosi terreni nelle aree lombarde sotto il controllo della Repubblica di Venezia, a cui nel corso dei secoli avrebbe poi donato numerosi condottieri, ecclesiastici e diplomatici. Vissuto tra il 1547 e il 1598, poco più che ventenne combatté nel durissimo assedio di Famagosta, città cipriota contesa dai Turchi ottomani e dalla Serenissima tra il 1570 e il 1571. L'assedio, la conquista turca della città, la tragica morte del comandante veneziano Marc'Antonio Bragadin e il conseguente moto d'indignazione che sconvolse tutta l'Europa alla notizia della caduta della perla orientale dello "Stato marittimo" veneziano, l'isola di Cipro, giocarono un ruolo fondamentale nel compattare la "Lega Santa", la grande coalizione che nella seconda metà del 1571 avrebbe opposto agli Ottomani un'armata navale europea capace di sconfiggere il Gran Turco nella celebre battaglia navale di Lepanto.

Della caduta di Famagosta Martinengo fu uno dei pochi cronisti capaci di portare notizie di prima mano. Preso prigioniero al termine di un assedio durato un anno, dal 22 agosto 1570 al 4 agosto 1571 e ridotto in schiavitù, riuscì a scappare dal porto libanese di Tripoli, ove era stato condotto, e con il rocambolesco appoggio di alcuni cristiani greci si potè imbarcare per Creta, ancora controllata dalle forze veneziane. Nel 1572 presentò al governo della Serenissima una relazione, L'assedio et la presa di Famagosta, che in sedici pagine condensava la cronaca dei fatti e senza iperboli dava un'idea dell'immensità della battaglia che era andata in scena nell'epicentro del confronto tra Europa cristiana e Turchia musulmana: a Famagosta un'armata turca di 200mila uomini comandata dal generale di etnia bosniaca Lala Mustafa tentò inutilmente per un anno di avere ragione della guarnigione veneziana di 7mila uomini guidata a Bragadin, e un esercito stremato e devastato da oltre 80mila perdite riuscì solo al termine di continui bombardamenti e di fronte a una guarnigione veneziana ridotta al lumicino a espugnare Famagosta.

Martinengo, nella sua relazione, racconta il tragico epilogo della battaglia: dopo la resa della città Mustafa aveva, inizialmente, concesso a Bragadin e agli altri comandanti veneziani l'onore delle armi, salvo poi accusare i nemici di aver ordinato l'uccisione dei prigionieri catturati. Da queste accuse nacque la decisione turca di uccidere i principali comandanti della piazzaforte: Martinengo racconta che a Bragadin, dopo la cattura, furono mozzate ambedue le orecchie, e in seguito fu rinchiuso per 12 giorni in una minuscola gabbia lasciata al sole. Infine, il 17 agosto 1571 venne portato nella piazza principale della città e scuoiato vivo. Secondo quanto riporta il cronista, Mustafa fu presente alla barbare esecuzione e derise l'avversario morente chiedendogli: "Dov'è ora il tuo Cristo? Perchè non ti aiuta?". Quel giorno, inoltre, scrive Martinengo, "tutti li soldati che furono trovati nel campo [veneziano] e altri cristiani in numero di trecento furono ammazzati".

Il resoconto di Martinengo divenne celebre in tutta Europa e fu tradotto in francese, tedesco, inglese negli anni successivi: il suo ricordo dell'epica resistenza di Famagosta, che strategicamente aveva contribuito a bloccare e logorare le armate turche sconfitte nel mese di ottobre dalla Lega Santa a Lepanto, amplificò la narrazione allora dominante sull'inconciliabilità tra l'Europa e la Turchia. Grandi storici come Franco Cardini hanno, col senno di poi, ridimensionato la narrazione dello "scontro di civiltà", ben meno lineare di quanto si pensi, ma è comprensibile nello spirito del tempo il fatto che gli Ottomani, poco più di un secolo prima sostituitisi ai bizantini nel controllo di Costantinopoli e intenti a conquistare anno dopo anno territori cristiani, apparissero come il nemico pubblico numero uno. Il resoconto di Martinengo e la cronaca della tragica fine di Bragadin contribuirono a diffondere la rivalità tra l'Europa e il "Gran Turco", il quale all'epoca aveva, senza che il mondo se ne stesse accorgendo, già imboccato la strada del declino relativo, che sarebbe stato accelerato dallo spostamento del pivot geopolitico globale verso l'Oceano Atlantico. La veridicità della testimonianza di Martinengo è confermata da altri resoconti, come la Storia di Salamina presa e di Marc’Antonio Bragadino comandante, un testo redatto da Antonio Riccoboni redatto pochi anni dopo i fatti raccontati e ristampato a Venezia nel 1843, che cita esplicitamente il militare bresciano e ricorda la tragica fine di due altri combattenti, Lorenzo Tiepolo e il capitano Manolio Spilotto, albanese: "Condotti per la città, colpiti da pugni e da calci, fattosi di loro ogni scherno, e dopo di averli percossi con sassi, vennero impiccati, squartati, tagliati a pezzi, e gettati ai cani".

Famagosta è entrata nella memoria collettiva degli europei essendo stata riscattata da Lepanto. E a resoconti come quello del Martinengo noi dobbiamo, a secoli di distanza, un grande riconoscimento per aver contribuito a tramandare la memoria di figure come Marc'Antonio Bragadin.

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