Nuove strategie e lati oscuri del (dis)ordine mondiale

Il caos contemporaneo interpretato dall'ex segretario Usa Kissinger Fra aneddoti storici, la minaccia islamica e la debolezza dell'Europa

Nuove strategie e lati oscuri del (dis)ordine mondiale

Il poderoso libro di 400 pagine edito da Mondadori ha per titolo Ordine mondiale e per autore Henry Kissinger. Qualcuno forse avrebbe voluto più spregiudicatamente titolarlo - mentre dobbiamo vedercela con l'Isis e con il viluppo ucraino e con altri dilemmi - «Disordine mondiale». Ma il 92enne Kissinger non è uomo di disordine. Nel suo pragmatismo implacabile, nel suo lucido cinismo non c'è posto per la confusione. Tutto dev'essere ricondotto alla razionalità, col che non si vuol dire che la razionalità sia priva di risvolti oscuri. L'ex segretario di Stato, ex massimo stratega della politica estera perseguita dalla massima potenza, ex bersaglio dell'universo progressista o semplicemente liberal , non è ottimista né pessimista. È realista. E non dissimula lo scetticismo nei confronti d'una politica europea che antepone valori morali - o presunti tali - a una strategia efficiente e concreta.

«L'Europa - scrive - si è proposta di costruire una politica estera basata principalmente sul soft power e su valori umanitari. Ma è dubbio che rivendicazioni di legittimità separate da qualunque idea di strategia possano sostenere un ordine mondiale. E l'Europa non si è ancora data connotati statali, provocando un vuoto di potere al suo interno e uno squilibrio di potere lungo le sue frontiere». La lucidità di Kissinger è notissima. Non meno famose sono alcune sue massime, talvolta di stile andreottiano, come la seguente: «Ciò che mi interessa è quello che si può fare con il potere». La chiarezza distaccata delle numerose e a volte contestabili diagnosi che Ordine mondiale contiene spiega perché Kissinger non soffriva Aldo Moro e il suo ragionare bizantino.

Nato nel 1923 e cresciuto in una famiglia povera di ebrei tedeschi, il ragazzo Kissinger si sottrasse allo sterminio nazista perché i suoi emigrarono negli Usa nel '38. Nel '43, arruolato, divenne cittadino americano. Aveva e sempre ha un'intelligenza e una forza di volontà eccezionali. Dovunque lo si mettesse primeggiava. Nel '50 si laureò ad Harvard dove poi fu docente, fu consigliere dei presidenti Kennedy e Johnson e braccio destro di Nixon. Ebbe nel '73, insieme al vietnamita Le Duc Tho, il premio Nobel per la Pace dopo il contributo dato da entrambi alla fine della guerra asiatica. Ma il vietnamita non volle ritirare il premio e Kissinger dovette a malincuore imitarlo.

Ho ricordato questi momenti essenziali della vita d'un protagonista della scena internazionale per arrivare a una conclusione. Kissinger è per tutti un genio, per molti un genio del male. L'orditore di golpe latinoamericani, il complice del cileno Pinochet, il protagonista di intrighi d'ogni genere e un membro influente di quella «trilaterale» cui tutte le sinistre muovono l'accusa di tramare contro i poveri del pianeta. È stato indagato anche da magistrati stranieri per nefandezze reazionarie. Ma tutto questo non gli ha tolto lo slancio di chi con tenacia teutonica ha ritenuto di proteggere gli interessi occidentali in generale e statunitensi in particolare.

La carrellata di Kissinger percorre secoli o addirittura millenni di storia ma a volte s'inoltra, in parallelo, nel terreno dell'attualità. Accade con le pagine sull'islamismo che collegano straordinarie vicende religiose e politiche di tempi remoti alla contemporaneità sanguinaria dei tagliagole. L'islam, spiega Kissinger, «era diverso da qualunque altra società della storia. Il suo precetto che esigeva ripetuti momenti di preghiera quotidiana faceva della fede una modalità di vita; la sua insistenza sull'identità tra potere religioso e potere politico trasformò l'espansione dell'islam da impresa imperiale in sacro dovere \. La rapida avanzata dell'islam in tre continenti forniva ai fedeli la prova della sua missione divina». Le minacce del Califfato discendono da una concezione secondo cui l'islam è nel contempo una religione, un super-Stato multietnico e un nuovo ordine mondiale. Così, con linguaggio asettico da cancelleria diplomatica, Kissinger chiarisce bene la portata storica e la minaccia fanatica dell'espansione islamica.

Molto spazio del libro è dedicato al presidente Nixon che associò Kissinger alla sua azione internazionale ed ebbe, grazie a una creatività spudorata, autentici lampi di genio. Nixon voleva porre la Cina e l'Urss in una posizione in cui l'America fosse più vicina a ciascuno dei giganti comunisti di quanto essi lo fossero tra loro. Era l'uovo di Colombo. Ecco un ricordo personale di Kissinger che nel '71 fu messaggero segreto di Nixon nella Repubblica popolare cinese (mai gratificata in precedenza da questo riconoscimento ufficiale). Disse Nixon. «Quando si considerano i cinesi come popolo - e io li ho visti in tutto il mondo - sono creativi, sono produttivi, sono uno dei popoli più capaci del mondo. E ottocento milioni di cinesi sono destinati a essere, inevitabilmente, un'enorme potenza economica con tutto ciò che questo significa». Profezia ineccepibile. L'acutezza di Kissinger nell'interpretare la strategia ma anche la psicologia dei grandi è messa in luce da queste righe su Richard Nixon e su Ronald Reagan: «Nixon trattava la politica estera come uno sforzo senza fine, come una serie di ritmi da gestire... si aspettava che l'America prevalesse ma in una lunga avventura senza gioia, magari dopo la fine del suo mandato. Reagan invece... sintetizzò la sua strategia per la guerra fredda in un motto del suo tipico ottimismo: “Noi vinciamo, loro perdono”».

Interessante libro di un

personaggio affascinante, questo Ordine mondiale . Che lascia nel lettore un po' di rimpianto per le innumerevoli altre cose - edificanti o scandalizzanti o perfino tenebrose - che il vecchio ex potentissimo avrebbe potuto narrare.

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