Riscoprire Serodine. Il genio più misterioso di tutto il Seicento

Una mostra in Svizzera riunisce i capolavori di questo pittore sfuggente, morto giovane ma capace anche di anticipare Van Gogh...

San Pietro in carcere, di Giovanni Serodine
San Pietro in carcere, di Giovanni Serodine

«Serodine, chi era il Serodine?». L'interrogativo martellante del saggio di Roberto Longhi del 1950 non si è ancora spento. Il pittore che ha fatto scrivere a Giovanni Testori che «si dovrebbe poter credere alla cartomanzia, o si dovrebbe poter attendere in apposite sedute, che i grandi morti si degnino di lasciar la loro sacra pace per apprestarsi a parlare», costituisce ancora il rebus più complicato nell'arte del Seicento. Sette anni di attività documentata, dal 1623 al 1630, data in cui muore appena trentenne. In mezzo, una ventina -a voler essere generosi- di opere conosciute, di cui la metà conservate in Ticino. Giovanni Serodine era infatti nato ad Ascona, in terra di architetti, scalpellini e stuccatori. Come molti terrazzani di quelle sponde, il padre Cristoforo si era trasferito a Roma, per svolgere l'attività di oste e albergatore. Un fratello prete, un altro scultore, i rapporti molto stretti con la patria mantenuti con viaggi molto frequenti, le case cambiate a ritmo vorticoso nell'Urbe, una cronaca famigliare complessa e per qualche verso pruriginosa -un figlio naturale spuntato poco dopo la morte di uno dei fratelli, forse concepito dalla vedova- che qualcuno ha voluto vedere riflessa nei memorabili ritratti dal vero che costituiscono parte del fascino della sua pittura.

Quei volti rugosi come una carreggiata malandata, le fisionomie e l'espressione estatica di certi santi che fanno quasi pensare a una versione psichedelica, in acido, del naturalismo di Caravaggio. Già, chi era il Serodine? A tentare una risposta sono ora Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa, l'ala cioè più rigorosa del mondo degli studi di storia dell'arte lombarda, prudentissimi nelle attribuzioni, pronti a retrocedere a opere di scuola dipinti che altri riterrebbe d'autografia indubitabile (ricordiamo il caso del Luini dell'Ambrosiana). I due firmano alla Pinacoteca Züst di Rancate una mostra (sino al 4 ottobre, catalogo Officina Libraria) che raduna tutti i Serodine del Cantone: l'occasione è offerta dal restauro della parrocchiale di Ascona, che conserva la pala dell' Incoronazione della Vergine , opera postrema, clamoroso intrico di Velázquez e Frans Hals, ma anche i dipinti che costituiscono il numero uno e due del suo striminzito catalogo, Cristo rimprovera i figli di Zebedeo e l' Arrivo nella locanda di Emmaus , ancora intrisi di un caravaggismo palmare, compreso non nei suoi aspetti esteriori ma nella sua lezione più alta, di rinnovamento radicale nella rappresentazione del fatto sacro. Come poi fosse possibile che nel terzo decennio del Seicento, morto da sei anni Orazio Borgianni, andati ormai per altre strade Saraceni, Gentileschi, Vouet e Antiveduto Gramatica, ci fosse ancora chi dipingeva così è uno dei misteri legati a quest'altissimo dilettante, che quasi a ogni dipinto che conosciamo cambia e si rinnova radicalmente, come se possedesse delle formidabili antenne, che gli consentono di intercettare Guercino e Lanfranco, di fare da improbabile, spiazzante trait d'union tra Rubens e Rembrandt, di mettere su tela un'ipotesi di pittura di tocco che precorre molti dei passaggi fondamentali della pittura europea dei due secoli successivi, su su sino al Van Gogh preconizzato nel San Pietro in Carcere . Che della collezione della Pinacoteca Züst rappresenta il pezzo da novanta, «una capsula di dinamite gettata in un fornello», per citare ancora Longhi.

La forza dell'idea di Agosti e Stoppa, sostenuta da un'esemplare allestimento studiato da Stefano Boeri, è sfruttare gli ambienti del museo ticinese per allineare le opere in modo che dal palco in cui si osservano a distanza ravvicinata i dipinti di dimensione minore, quelli di destinazione prevalentemente privata, ci si affacci poi su di una visione poderosa, che vede i quadri di Ascona e la pala dei Mercedari assieme, a documentare l'accelerazione vertiginosa consumata in una carriera brevissima, che lo avrebbe portato a essere il punto più avanzato della pittura europea e tuttavia a rimanere ai margini delle commissioni più importanti, con i due incarichi pubblici più importanti, la Trasfigurazione di San Salvatore in Lauro e il San Michele Arcangelo entrambe perdute, una delle due tele per San Lorenzo fuori le mura ridotta a un ectoplasma di dipinto, tutto insomma che sembra congiurare contro la piena affermazione della sua grandezza. E se abbiamo assistito negli ultimi anni alla proliferazione di ipotesi attributive da rigettare quasi in blocco- le ultime venivano dalla monografica voluta ancora a Rancate nel 2013, con quel Cristo e i Dottori che riportava una doppia citazione degli studi di Goltzius, Agosti e Stoppa avanzano a loro volta l'idea dell'autografia per una Testa di ragazzo , che dopo un passaggio a vuoto in asta è pervenuta da poco in una collezione privata.

L'intuizione è stavolta convincente, anche se non di facilissima collocazione nella scansione cronologica dei dipinti di Serodine, gigante la cui opera continua a essere fuori formato rispetto alla vita: ed è di questo che in fondo non sappiamo darci ragione.

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