La scuola tecnocratica: pochi alunni eccellenti in un branco di asini

Falsa meritocrazia e vera demagogia, ecco perché le proposte del ministro Profumo non funzionano

La scuola tecnocratica:  pochi alunni eccellenti  in un branco di asini

I l «pacchetto merito» del ministro dell’Istruzione Alessandro Profumo solleva roventi polemiche. Vi sono tanti motivi per criticare questo progetto, per la sua ideologia tecnocratica che estende il metodo dei quiz. È un’ideologia che mette le persone in secondo piano, perché le persone danno giudizi «soggettivi» e «arbitrari», e vuole trattare il sistema come una catena di produzione di merci di cui occorre controllare i requisiti di qualità secondo criteri «oggettivi»; come se i test di valutazione non fossero formulati da persone che forniscono prove quotidiane del carattere arbitrario delle loro scelte. Si dovrebbe anche criticare l’intento di introdurre questa concezione nell’università, riducendo i concorsi universitari al calcolo di chi supera la «mediana» delle citazioni, un criterio sballato e arbitrario, che scambia la standardizzazione per oggettività.

Invece di fare queste critiche si prende di mira solo l’intento «meritocratico» del progetto secondo cui ogni scuola deve premiare lo «studente dell’anno». Le critiche più aspre vengono da sinistra. Si parla di propositi «orrendamente premiali», di «determinismo culturale e sociale» e si ammonisce che l’unico modo di incoraggiare il merito è perseguire l’equità. Non si dice che il «determinismo sociale» (diciamo pure la demagogia) si trova proprio nelle bozze circolanti del progetto quando si dice che, per individuare lo «studente dell’anno», occorre tener conto anche della condizione economica della famiglia e del suo «impegno sociale» (sic).

Anche a noi non piace affatto l’idea di premiare un solo studente per scuola, e non solo perché ciò metterà in moto meccanismi tutt’altro che trasparenti, ma perché così non si premia il merito: si premia l’eccellenza, che è tutt’altra cosa, anzi è il suo esatto contrario. L’idea generale di premiare i meritevoli - coloro che studiano e s’impegnano - e penalizzare la nullafacenza e l’incompetenza ci pare giusta. Non ci sembra per niente giusta l’idea di premiare l’eccellenza, il genietto eccezionale, uno solo per scuola. In sintesi: il premio all’eccellenza e il premio alla mediocrità sono le due facce della stessa medaglia.

Chi ripropone la vecchia ricetta dell’egualitarismo - il «diritto al successo formativo» - non si rende conto di essere il principale responsabile della degenerazione del premio al merito nel premio all’eccezione. È indubbio che la vecchia scuola non fosse disegnata per tutti e, sebbene non le mancasse la capacità di promuovere i figli di famiglie modeste e incolte, andasse riformata per diventare scuola di tutti. Ma invece di scegliere l’unica via corretta, se pur difficile, di costruire un modello di massa che, offrendo pari opportunità di partenza, stimolasse a migliorare indicando un riferimento verso l’alto - indicando come modello da imitare i migliori e non i peggiori o i mediocri - i pedagogisti e riformatori «progressisti» (si fa per dire) hanno scelto il modello della mediocrità, bene riassunto nella formula della «media minima» di Tullio De Mauro.

Ebbene, se si indica come obbiettivo la mediocrità e poi si constata che il risultato è che nessuno sa più leggere, scrivere e far di conto - e gli esperti scolastici «progressisti» sono i primi a stracciarsi le vesti per questo risultato nefasto! - quale via d’uscita resta, visto che comunque la società ha bisogno di «competenze»? Andare a caccia degli «eccellenti». È la linea che sta emergendo in tutti i paesi europei dove è stata scelta la linea sciagurata del premio alla mediocrità. Per un paradosso (apparente) sono gli egualitaristi, coloro che premiano la mediocrità e combattono il merito a favorire la ricerca e il premio dell’eccellenza. Non è quindi da stupirsi che l’egualitarismo abbia spianato la strada al trionfo di ciò che proclamava di voler distruggere: la «scuola di classe», la scuola delle élite che umilia la massa. Per questo è imperdonabile la cecità di chi continua a opporre alla valorizzazione del merito (non uso il termine «premio») l’ideologia della «media minima», il successo formativo «garantito», l’egualitarismo della mediocrità.

Se i «progressisti» continuano ad affondare nei loro nefasti errori, ciò non assolve affatto quelle componenti tutt’altro che marginali del centrodestra che non vedono la stretta relazione tra l’ideologia della mediocrità e quella dell’eccellenza e si schierano sull’altra faccia della medaglia e, per giunta, sostengono ciecamente i progetti tecnocratici di cui si diceva all’inizio. Non vedono colpevolmente quel che denunciano tanti insegnanti.

E cioè che il ministero preme sugli uffici scolastici, che premono sui dirigenti, che premono sui docenti, per contenere le bocciature e mandare avanti tutti: un po’ per risparmiare, un po’ per ideologia.

Così, nella cornice della retorica dell’eccellenza e della valutazione «oggettiva», si ripropone la dittatura della mediocrità (di cui è espressione il dilagare del metodo dei test) in un gioco di specchi che non fa che accelerare lo sfascio del sistema italiano dell’istruzione.

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