"Sono entrato nelle fiabe e ho tirato fuori tutta la loro violenza"

Lo scrittore ha scelto le più famose storie universali e le ha riscritte, liberando forze e verità insospettabili

"Sono entrato nelle fiabe e ho tirato fuori tutta la loro violenza"

La seconda notizia è che Antonio Moresco ha compiuto settant’anni, che non sono né tanti né pochi, potrebbe averne 150, o venti. È già, comunque, un classico della letteratura. Tra pochi mesi il suo opus magnum (tre romanzi, in quattro libri, in vent’anni di lavoro, con tre editori diversi: Gli esordi, Canti del caos e Gli increati) uscirà da Mondadori col titolo generale Giochi dell’eternità. La prima è che, intanto, è in preda a unafuria creativa sperimentale. Quest’inverno ha recitato come attore in un film, in uscita a mesi, tratto da un proprio libro, La lucina, cosa che nella storia del cinema finora è successa solo a Mickey Spillane e, per una particina, a Pasolini. E ora esce con un libro - Fiabe (SEM, pagg. 278, euro 18; con illustrazioni di Nicola Samorì) - in cui sceglie alcune tra le storie primordiali più celebri della letteratura e del folklore e, in un sanguinoso corpo a corpo di passione e di scrittura, le ha prima ritradotte («Mi sono accorto che mediamente erano tradotte malissimo, penso ad Andersen o ai fratelli Grimm, ma non solo, con una sciatteria che non ci si permetterebbe mai con un libro per adulti»), e poi le ha riscritte à la Moresco: «Le ho violate, rivoltate, sbudellate, ho toltoifinalini posticci edificanti, ho riportato alla luce le verità brucianti che, sottotraccia, ci sono dentro le fiabe».

E quali sono le verità delle fiabe?

«Verità violente, brutali, crudeli. Nelle fiabe c’è il cannibalismo: bambini mangiati dai orchi, streghe, matrigne, una maniera mitica-elementare per esprimere un bisogno reale, quello della fame, che si sfoga sulla figura più debole. C’èil sadismo e la violenza normativa nei confronti deifigli: bimbi puniti, picchiati, minacciati per educarli. C’è,in generale, ilMale, che è un aspetto di verità della vita».

Il lupo.

«Cappuccetto rosso è un horror terribile e bellissimo, degno di Stephen King. Il lupo travestito che divora la bambina ci dice, e dice a tutti i bambini del mondo, che nella vita esiste il Male, e tu devi compiere l’esperienza di incontrarlo. A chi è stato risparmiato il male nella storia dell’umanità? A nessuno. Ecco perché è aberrante che ci siano editori, professori, educatori politicamente corretti che vogliono “normalizzare” le favole, e cambiare i finali, togliendo il lupo».

Cattive intenzioni, pessimi effetti.

«Tanto più che ilmeccanismo dellafiaba è perfetto di suo. C’è l’ineluttabilità della morte, ma c’è anche l’aspetto resurrettivo. Infatti il lupo viene ucciso e il bambino rinasce. Ed ecco l’insegnamento completo della storia: io ti dico che incontrerai il drago, e che ti potrà anche sconfiggere. Ma poi tu rinascerai».

Perché hai scelto di riscrivere le fiabe?

«Uno: perché le fiabe sono le narrazioni umane più conosciute a livello universale. Biancaneve è più letta del Don Chisciotte. Hanno una potenza straordinaria. Due: perché la fiaba allarga in maniera straordinaria lo spazio della cosiddetta realtà, inglobando tutto il mondo sommerso dell’immaginazione, del sogno, del desiderio, del delirio... Tutte le cose che fanno la storia degli uomini».

La tua fiaba preferita?

«La bambina dei fiammiferi di Andersen. La bambina che accendendo uno dopo l’altro i suoi fiammiferi nel buio apre ogni volta a una visione, una storia, una trascendenza, che cos’è, se nonil più grande scrittore della letteratura universale, patrona stessa degli scrittori?».

La fiaba che ti sei divertito di più a violentare?

«I vestiti nuovi dell’Imperatore. La fiaba come la conosciamo ha un taglio cinematografico: a un certo punto spunta il bambino coraggioso che svergogna, cioè mette a nudo, l’imperatore, cioè il potere, poi scatta l’applauso del pubblico, cioè dei cittadini del regno e dei lettori, fine. Bene.Ma poi al bambino cosa succede? Io hoimmaginato un altrofinale. Più vero. E cioè che, passato il primo momento di stupore, la folla reagisce,il padre schiaffeggia il bambino, le guardie lo portano via, lo sbattono in prigione, lo torturano, qualcuno dice sia stato crocifisso... E il bambino, per la sua purezza, diventa la vittima sacrificale della collettività. Una bella invenzione, no?».

Tutti si sono inventati la propria fiaba. Anche i filosofi?

«E beh, sì. Lafilosofia nasce con immagini fiabesche, come il mito della caverna di Platone. Poi ogni filosofo cerca di scontornare a livello concettuale solo un aspetto del mondo chiamandolo Verità, e tagliando fuori tutto il resto. E anche questo sa difavola. Infatti Shakespeare, un poeta, al filosofo che si è auto-investito del ruolo sacerdotale di questa nuova religione chiamandola Verità, risponde: “Ci sono più cose in cielo e in terra di quante ne sogni la tua filosofia”. E poi: illuminismo, idealismo, comunismo... Io trovo abbiano forti tratti fiabeschi».

Anche i fondatori di religione hanno raccontato la loro fiaba?

«La prima fiaba è quella di Adamo e Eva. Anzi no. Prima ancora c’è l’epopea di Gilgamesh, con le sue storie del diluvio, del regno dei morti. E l’incipit dell’Antico testamento, con quel Dio che separa la luce dalle tenebre, il Bene dal Male, non è una grandissima invenzione fiabesca?».

Quali sono le caratteristiche più forti delle fiabe?

«Tante. Lefiabe sono estremiste, elettive, sapienziali, emblematiche. Ma sopratutto sono ultimative. La fiaba insegna che non ti verrà concessa una seconda chance, perché tanto ti comporteresti nello stesso identico modo. Se ti comporti male, è per sempre. Ma è vero anche il contrario: se ti comporti bene, se sei coraggioso, se sei leale, è “per sempre”. L’uomo non può scappare dalla sua Natura».

Tu allarghi il campo della fiaba oltre il cosiddetto «genere». Sconfini, estendi anche a grandi autori la visione del mondo estrema e verticale della fiaba. E fai un lungo elenco, dall’Iliade a Cormac McCarthy...

«Certo, nel senso che la fiaba rompe lo specchio della realtà, e del realismo, per mostrarti cosa c’è dietro lo specchio. Don Chisciotte distrugge la fiaba cavalleresca diventando esso stessafiaba. Madame Bovary, che viene considerato l’emblema del realismo, ha il rigore negativo di un percorso non edificante che ha le caratteristiche della fiaba. Il Viaggio al termine della notte di Céline non è il viaggio del bambino che attraversa il bosco? E il Grande Gatsby che vede una lucina dall’altra parte del fiume e s’inventa un amore ideale che insegue tutta la vita, che cos’è se non una fiaba? Lolita ricorda il diavolo delle fiabe che si nasconde sotto vestiti affascinanti. Sulla strada di Kerouac è il viaggio nel bosco, dove il lupo è la droga. E The road di McCarthy è un meraviglioso apologofiabesco. E Stephen King che trasforma oggetti comuni - l’automobile, un pupazzo, il cellulare - in strumenti magici di morte e orrore, non è un grandissimo narratore di fiabe?».

Chi sono i più bravi narratori di fiabe in Italia, oggi? A parte Moresco.

«Michele Mari usa il fantastico in maniera diretta, e lo fa molto bene. Io invece ho un’idea diversa. Non voglio rifare la fiaba attraverso le sue forme narrative. Voglio romperla dal di dentro.

Non voglio aderire a un codice letterario prefissato, ma inventarlo dove non c’è. I Canti del caos nascono qui. Mettere insieme il massimo della realtà, dall’economia alla pornografia, conilmassimo della deflagrazione della potenza fantastica fiabesca».

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