Ci sono rare volte in cui un prodotto cinematografico appare talmente destinato a deludere su larga scala, che non si riesce a individuare a chi potrebbe essere consigliato. La visione di "Storia d'Inverno" è uno di quegli spiacevoli casi in cui, specie se si sono superati i quindici anni d'età, non si è in grado di digerire che certe pacchianerie vengano vendute per romanticismo e un potpourri sconclusionato di scene possa definirsi film. L'esordio alla regia di Akiva Goldsman, già premio Oscar come sceneggiatore per "A Beautiful Mind" nonché produttore di grande fama, viene proposto come la commedia romantica del weekend di San Valentino, ma si tratta di mero e fuorviante marketing. "Storia d'inverno" è in realtà una favola dalle sfumature fantasy in cui sentenze misticheggianti scandiscono un dramma soprannaturale che, da un certo punto in avanti, anziché strappalacrime diventa involontariamente umoristico.
La storia copre l'arco di oltre un secolo e si svolge a NewYork. Peter Lake (Colin Farrell) è un giovane ladro che, ai primi del '900, si invaghisce della bella e ricca Beverly (Jessica Brown Findlay), una ragazza cui resta poco da vivere perché gravemente ammalata. Peter, pur perseguitato dal suo malvagio ex mentore Pearly Soames (Russell Crowe) che lo vuole morto, non solo sopravvive fino alla nostra epoca, ma lo fa senza invecchiare di un giorno. Comincia quindi a capire che il suo destino deve ancora compiersi.
Se è vero che nella prima parte della pellicola, quella relativa alla New York del 1916, qualcosa funziona, quando si arriva alla seconda metà c'è poco da salvare. A trasportare in un'atmosfera sognante ci sono, per fortuna, la maestà visiva derivante da fotografia, scenografia e ambientazioni d'effetto e la colonna sonora affidata alle partiture di quel gigante di Hans Zimmer. Eppure le emozioni, incredibilmente, latitano perché il racconto cade più volte nel ridicolo e nell'incomprensibile a causa di buchi di sceneggiatura e illogicità. Gli eventi, soprattutto quando la narrazione si sposta ai giorni nostri, si susseguono troppo rapidamente e hanno dinamiche confuse. Comprimere in due ore di girato le ottocento pagine dell'omonimo romanzo di Mark Helprin uscito nel 1983, non era cosa facile, ma farlo in maniera così approssimativa appare quasi sacrilego. Poteva e doveva essere un film in cui angeli, demoni e miracoli facessero riflettere sul significato dell'amore, della morte e del destino, invece è solo un risibile guazzabuglio condito da pochissime frasi sentimentali svelate già tutte nel trailer.
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